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Il ritorno a Trieste

 

   L’angoscia, il patimento che mi avevano spinto a tornare a Trieste, dove per tre lustri si era svolta la mia vita, erano stati cagionati da un groviglio di ricordi suggestionanti che mi avevano roso l’anima.

   Il dolore intimo, violento, solitario, le sofferenze del mio spirito sensibile mi avevano logorato anche nel fisico, debilitato da uno stillicidio psicologico lento e continuo.

   Una rivisitazione dei luoghi a me noti, il percorso accidentato di un tortuoso sentiero delle “alte”, molte volte battuto in cui la vegetazione del Carso s’intreccia in un gioco di foglie e di sassi e la sua indescrivibile bellezza inebria e stordisce, ravvivarono in me sopite sensazioni.

   Dove il verde sembra sorgere dal mare per poi protendersi verso il cielo, in un abbraccio avvinghiante della montagna, avevamo sostato più volte, Liliana ed io, ad ammirare l’ineffabile bellezza del paesaggio che in autunno si tinge di colori dalle varie sfumature e tonalità, fino a confondersi con le tinte del tramonto; luoghi in cui spesso deponevamo la nostra quiete e dove l’animo e la mente si astergevano in un mare di serenità.

   Caleidoscopio di immagini, che raffiguravano con la loro armonia lo scenario di un profondo sentimento d’amore, immortalato nell’inquadratura di una foto che un compiacente passante aveva scattato per noi mentre, Liliana ed io, ci scambiavamo un tenero bacio.

   Itinerari di escursioni, che diventavano percorsi di vita.

   Quanto tormento nel rivedere quei posti, immagini di vissuto, teatro di passioni custodite gelosamente nella propria intimità ed ora riaffioranti e vivificate dalla rimembranza.

   E il ricordo riaffiorava ancora, col suo struggente morso, nel rivedere la cengia dove gli scalatori si fermano  in  sosta o il  panorama che si  gode da Monte Grisa,  meraviglioso nello sfondo  in cui il mare  si confonde col cielo e in lontananza si stagliano il porticciolo di Sistiana con i suoi velieri ondeggianti,  Miramare , castello di bianco vestito, incorniciato d’ azzurro e di verde, che nell’evocazione del Carducci fu “ nido d’amore costruito invano’’ e in cui si consumò la triste storia di Massimiliano d’Asburgo e della sua Carlotta  e poco più in là il castello di Duino, in cui si aggira inquieto il fantasma dell’infedele Dama Bianca, uccisa dal marito geloso, al rientro dalle crociate.

   Le nostre giornate festive le trascorrevamo in quei luoghi, da soli o in gioiosa compagnia di amici.

   Una sera di plenilunio, in cui la luna diffondeva un argenteo chiarore e miriadi di stelle punteggiavano il firmamento di una nitidezza inusuale, sostammo su una vedetta ad ammirare dall’alto le bellezze incomparabili di Val Rosandra.

   Le pieghe della montagna coperte dalla vegetazione, creavano un gioco di fioca luce e di ombre in contrasto col cielo rilucente che si rifletteva nelle acque tortuose di un fiumiciattolo e   di una cascata dal vivido colore di perla.

 

 

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About the Author Gianfranco Pasanisi

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