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    “Non voler nulla di diverso da quello che è, non nel futuro, non nel passato, non per tutta l’eternità. Non solo sopportare ciò che è necessario, ma amarlo” era la sintesi dell’amor fati: accettare completamente la vita in tutti i suoi aspetti, anche in quelli più sconcertanti, tristi e crudeli.

    Talvolta avevo letto negli occhi di Liliana lo scorrere della vita, come in un documentario ripreso dalla telecamera delle proprie emozioni e proiettate sullo schermo del destino. Spaziava verso illimitati orizzonti, spazi grandi quanto un’esistenza ed anche oltre: sguardi che s’interrogavano sulla morte.

    Il pensiero del fato non mi arrecava né sollievo né angoscia ma mi consentiva di familiarizzare con gli eventi che si erano abbattuti come una valanga su di me.

    Li domavo, li arginavo. Impedivo che il fiume in piena del tormento tracimasse e inondasse il mio animo. Affogavo i devastanti sentimenti nel mare dell’accettazione della realtà, così come essa si era determinata e come mi era stata assegnata.

    Ed ancora mi domandavo:

    - E la morte non è forse un’altra vita?  Incorporea…

   Un distaccarsi dell’anima dal corpo… La vita umana è preparazione o avvicendamento ad una vita diversa?

   “La morte è come il tramonto del sole che è insieme, il levarsi del sole in un altro posto.”

   La vita soprannaturale è il fine a cui l’anima tende, la meta finale.

   Pensieri, citazioni, argomentazioni emersi dai recessi della reminiscenza o dall’affannosa ricerca della conoscenza e della verità, rischiaravano la mente.

   In quelle espressioni mi compenetravo perché erano la soluzione agli interrogativi interiori e le facevo proprie, sentendole mie.

   Prima, annichilito dal dolore, non avevo compreso la grandezza del messaggio che la vita e la morte mi avevano trasmesso con il loro disvelarsi.

Inoltre, condividendo la sofferenza di mia moglie, le avevo donato l’amore di cui avevo misurato l’infinita profondità, soprattutto nell’ora del suo distacco.

   Abbattuto, distrutto nel riposto, ridotto senza volontà, ero stato incapace di reazione e   mi ero chiuso in me stesso.

   - Si può amare un uomo irrigidito dal dolore, privo di ogni speranza, senza anima e dal cuore rottamato? - mi chiedevo prendendo consapevolezza della mia condizione.

   … Eppure, nonostante tutto…

   Quindi chiesi perdono…perdono a Dio per essermi rivolto a Lui con alterigia, a me stesso per non aver saputo apprezzare ed amare la vita, agli altri, per aver creato con la mia sofferenza un baluardo, una monade impenetrabile, una chiusura ermetica che mi aveva escluso dalle relazioni, rendendomi impermeabile all’affetto altrui.

 

 

 

 

 

 

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Credo che l'art. "L'Italia è una repubblica fondata sul lavoro" sia stato scritto il 1° aprile 48, ma pubblicato sulla Gazzetta un mese dopo... (C.Sias)
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