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Emozioni in musica

 

   Dopo la morte di L. il suo spirito pervase la casa.

   La sua fisicità dai contorni limitati, la materialità definita della sua dimensione, non erano più, ma il suo spirito inondava lo spazio infinito, era presenza muta ed eterea che mi avvolgeva come l’aria, sfuggiva ai sensi, invisibile, ma viva perché percepita dai moti dell’anima.

   Mi mancavano le nostre abitudini: darsi il buon giorno, farsi un caffè e sorseggiarlo insieme; gesti comuni, ripetitivi ma che costituivano la manifestazione della felicità.

   Mi comportavo come se lei fosse presente, a lei rivolgevo le parole della nostra usuale quotidianità.

   Poi lentamente, ma inesorabilmente, la consapevolezza della solitudine permeò la mia razionalità e si presentò col suo gravoso fardello.

   Durante il giorno le normali occupazioni riempivano con somma pena il tempo che progrediva col suo trascorrere lento…assai lento per me.

   A sera, quando i miei figli andavano a letto, si risvegliavano gli incubi.

   Spesso sprofondavo in poltrona e per tenere la mente occupata, ascoltavo i brani di musica che più di altri si confacevano al mio stato emotivo e la mia scelta cadeva sui drammi lirici perché mi compenetravo nella rappresentazione di storie tristi ad imitazione della mia.

   Il melodramma era lo specchio, l’eco fedele della mia vita, delle mie esperienze, la trasposizione scenica del realmente vissuto in una storia diversa eppure eguale nelle sfumature emozionali.                                              

   La musica s’impadroniva di me, della mia essenza, mi proiettava in una dimensione superiore, eccelsa; succhiava il nettare della mia sensibilità.

   L’anima si librava oltre la dimensione spaziale, si affrancava dal corpo. Per poi rientrarvi e poi ancora ne usciva, e talvolta sentivo che si separava completamente dalla fisicità, lasciandomi in uno stato di estasi ipnotica, di annullamento totale.

Sentimenti forti, incontrollabili, erano compagni dei miei tormenti.

   Il mio corpo talvolta era preda di forti e incontenibili pulsioni: Liliana mi mancava anche nella sua presenza fisica.

   Un rievocato, inebriante amplesso, di estrema languidezza, era modulato dalla delicatezza e dolcezza dei preludi. La forza prorompente dei finali, sublimava la libido nel dominio della composizione musicale.

   L’impeto sonoro dei fiati, il rullare dei timpani, erano sottofondi di una sofferenza amplificata. Gli strumenti all’unisono enfatizzavano la musica, s’accordavano sulle note dell’estremo mio dolore e del patimento dei protagonisti.

   Le corde degli archi vibravano in simbiosi col mio essere e la loro euritmia era come il mio amore perduto: struggimento e dolcezza, nostalgia e dolore, consolazione e conforto ad una vita sempre più dura da sopportare.

 

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