“Lassù ci rivedrem
In un mondo migliore”
(Da “Don Carlo “di Verdi)
Le condizioni di Liliana erano precipitate in modo irreversibile e preoccupante.
Ormai le metastasi erano disseminate in tutto il corpo ed avevano aggredito in particolare i tessuti ossei.
Il suo corpo era scarnificato e lo stato avanzato della malattia aveva prodotto delle infezioni: le piaghe da decubito marcivano e diventavano purulente diffondendo germi nel letto e nell’ambiente.
Per motivi igienici avrei dovuto approntare per la notte un altro giaciglio, ma in cuor mio non volevo riservare a mia moglie la mortificazione di non avermi al suo fianco.
E poi, anche se corrotta nel corpo, la sua vicinanza fisica soddisfaceva una mia intima esigenza e risvegliava in me un rinnovato trasporto emotivo.
Mi dava la forza di continuare l’impari lotta contro il male e mi illudeva che saremmo tornati alla normalità, a quella normalità che aveva portato alla fusione dei nostri corpi nell’impeto dell’affetto e della passione mai sopiti tra noi.
Prima che l’aggravarsi della malattia le avesse impedito di amarmi fisicamente, su quel letto nuziale avevamo consumato anche l’ultimo, estremo, il più passionale dei nostri amplessi e lì ora ci scambiavamo carezze di straripante e straziante tenerezza.
Certamente quella era l’espressione pervasiva e dominante del vero AMORE, non più guidato dal desiderio ma profondamente radicato nella sfera delle emozioni, nei recessi dell’interiorità.
Le giornate di Liliana ormai si svolgevano in un’alternanza di lucidità e di letargia.
I momenti di chiarezza mentale me la restituivano in tutta la sua pienezza e le lacerazioni del mio cuore lasciavano spazio a una pur tenue, irrazionale, irrealistica speranza.
15 ottobre 1987
Quel giorno il medico di famiglia dispose l’ennesimo e ultimo ricovero di Liliana in ospedale.
Al centro oncologico dove lei giunse con un’autolettiga le assegnarono una stanzetta.
Mi domandai perché, come d’uso, non l’avessero sistemata in corsia con le altre, ma dopo ne compresi le ragioni.
Quella stanza tristemente “riservata” era l’anticamera della morte.
La visione di una moribonda affetta da cancro, avrebbe fiaccato l’esile speranza e corroso la fragile sensibilità delle altre degenti che erano in bilico tra la vita e la fine.
Eravamo ormai all’epilogo, ma non mi rassegnavo.
In altre occasioni vi erano state delle ricadute della malattia, ma ogni volta lei si era ripresa.
Presto subentrò lo scoramento, ineluttabile, implacabile.
Nel blandire la fronte di Liliana notai che questa era fredda.
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