Sulla città incombeva aria di tempesta. Non una tempesta ordinaria, né pioggia, né vento, né altro.
La tempesta che gravava su Gerusalemme non era climatica ma altrettanto inquietante. Per le vie s'insinuava, tetro, il silenzio. Qua e là gruppi di scalmanati si agitavano, subito sedati dai pretoriani in assetto anti-sommossa. Torvi e silenziosi pattugliavano ogni vicolo, ogni angolo oscuro, perquisendo quelli che passavano con aria circospetta e ingombranti volumi sotto i mantelli. L'aspettativa era palpabile, da tempo s'andava consolidando l'idea e la convinzione che un leader carismatico avrebbe preso il comando dei tanti gruppi di ribelli che si nascondevano in città.
Intanto, nel palazzo di Pontius Pilatus, si svolgeva un colloquio insolito tra il procuratore romano in carica nella Giudea e un Uomo chiamato Joshua di Yossweph, detto il nazareno. Arrestato la sera prima presso l'orto degli ulivi conosciuto col nome di Getsemani, parola aramaica che significa frantoio, appena fuori delle mura di Gerusalemme, non dava segno di aver alcun timore, tantomeno paura. Se ne stava immobile, in piedi, seminudo, di fronte all'uomo che lo interrogava con poca convinzione:
"Allora tu saresti un re?"
"Tu lo dici, io sono Re. Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità."
"Quid est veritas?"
"Tu conosci la verità dentro di te, infatti non hai intenzione di condannarmi, non vuoi assumerti questa responsabilità senza valutare i rischi e il tornaconto per te stesso."
"Anche fosse come dici, v'è scontento là fuori e molti pretendono la tua morte, io sono tenuto ad obbedire all'Imperatore. Mi chiedo: che farebbe egli al posto mio?"
"Sai benissimo di non avere tempo sufficiente per mandare un messaggero a Roma, dovrai assumerti la responsabilità di tutte le conseguenze, decidere che fare della mia vita sporcandoti le mani senza la certezza di ottenere o meno altro potere. Il mondo intero ne vedrà gli sviluppi."
Intanto, dalla loggia che dava sulla piazzetta sottostante, a breve distanza dai sotterranei, si alzava la voce dei potenti capi religiosi della città. Sostenuti dagli Anziani e da alcune frange fondamentaliste del movimento sacerdotale ebraico, facevano sentire la loro voce e gridavano: "Crocifiggilo. Crocifiggilo."
"Sono stato mandato qui dal Senato romano ma il compito è molto gravoso, questa nazione ha uno spirito ardito, non cede alle minacce, alle continue condanne a morte, esempio per gli irriducibili rivoluzionari che si nascondono nel deserto. Nemmeno l'esecuzione dell'esseno Yoh'anan è servita per sedare gli animi dei facinorosi e la sua muta testa mozzata sta producendo molto più danno di quando parlava..."
Il procuratore tacque in attesa d'una replica ma l'Uomo rimase cocciutamente in silenzio.
"Perfino mia moglie contrasta le mie idee e chiede la tua liberazione, dice che sei innocente." Disse ridendo sguaiatamente.
Questa volta il giudeo rispose.
"Ciò nonostante dovrai decidere. Le conseguenze della tua decisione peseranno sull'umanità intera e tutto il mondo ne subirà il danno."
"Claudia è solidale con il popolo. Dice che se voglio governare in sicurezza devo dare retta ai giudei, il popolo vuole la tua liberazione. Il potere religioso ti detesta, tu susciti in loro i sensi di colpa. Si sentono inadeguati e temono di perdere l'ascendente sulla plebaglia se solo decidessero di assecondare i tuoi seguaci."
"Il potere! Ecco da dove nasce la debolezza e la forza dell'uomo. Il potere: senza questo l'uomo si sente una nullità. Eppure ho dimostrato come l'Amore sia più potente del denaro e della ritualità religiosa, persino delle preghiere e degli olocausti."
"Come posso continuare ad esercitare il mio potere e quello di Roma senza riconoscerlo anche ai farisei, agli anziani e ai sacerdoti? Persino Qajafa di fronte ai suoi seguaci ha dichiarato: 'Meglio che muoia uno solo, al posto di tutti noi.' che dovrei fare, emettere io stesso la mia condanna a morte?"
"Eppure non v'è uno solo, fuori di qui, che possa immaginare le devastanti conseguenze che la tua decisione scatenerà, Pilatus. Il popolo vede in me solo una fonte di guarigione del corpo e dello spirito. Nessuno, ancora, comprende fino in fondo chi io sia..."
"Perché non lo dici a me, allora!" gridò il procuratore.
Infatti nessuno, tra i protagonisti di quella squallida vicenda di collusione e concussione, poteva immaginare quali travagliate vicissitudini sarebbero seguite ad uno sbrigativo processo politico. Non l'isterico, sadico e violento Pilatus, sordo alla prudenza politica di governo. Non il vile collaborazionista e religiosamente scettico Qajafa (nella sua tomba furono trovate sacrileghe monete romane, omaggio a Caronte, nessun ebreo tanto meno sacerdote, le avrebbe usate - ndr-). Neppure il popolo di Jerushalem che aveva appassionatamente acclamato il 'Profeta Galileo' salito dal Deserto e in cui - a torto o a ragione - vedeva riaccendersi la speranza di un'indipendenza.
L'unico a capire, al solito, fu il Senato romano. Con freddo e cinico realismo Pilatus finì in esilio. Qajafa deposto e il popolo ebraico schiacciato in una guerra feroce. "Poiché l'uccisione del fondatore del Cristianesimo non sarebbe apparsa come un'esecuzione legale ma un crimine, per cui fu necessario indirizzare l'attenzione sul vero colpevole/capro espiatorio di quella morte: il popolo di Jerushalem."[1]
Sulla base di questa menzogna si costruì l'inganno della liberazione di un ribelle zelota.
Ma come avrebbe potuto, il popolo, rivendicare a gran voce la liberazione di Yeshua Bar-abbâ in cambio della morte del Nazareno. Il luogo da cui comunemente si racconta che entrambi i prigionieri furono presentati alla folla per questa delirante proposta era una piccola piazzetta di poche decine di metri dove, al più, vi avrebbero trovato posto un centinaio di persone, non gran parte della popolazione di una città come Jerushalem.
Improvvisamente l'Uomo si richiuse nel silenzio e a nulla valsero le offese, le provocazioni e i colpi violenti. I suoi occhi si persero nel vuoto, fissarono qualcosa in un punto lontano che solo Lui poteva vedere. Spazientito Pilatus chiamò due dei centurioni di guardia alle sue stanze e diede ordine che il prigioniero fosse portato via e gli venisse inflitta la condanna della flagellazione.
Carmen Cantatore
95 848 97
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