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Scritto da Gianfranco Pasanisi. Pubblicato in Prosa il 26 Feb 2017.
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Racconto di fantascienza

 

 

 

12 Febbraio 2016 (secondo il calendario terrestre)

 

Giulio, un bambino di nove anni, osservava estasiato il cielo coperto di stelle. Una luna in plenilunio rischiarava Roma del colore del cobalto e il paesaggio, illuminato anche dal riflesso giallo dei lampioni, assumeva di sera un aspetto da favola.

«Quante galassie esistono nell’universo?»Si interrogò Giulio ad alta voce, guardando curioso con la testa all’insù la volta stellare.

«Entro tredici miliardi di anni luce da noi, che è il volume indagato dagli studiosi, ci sono circa cento miliardi di galassie e centocinquanta pianeti extrasolari.»Rispose il padre che gli camminava a fianco, tenendolo per mano.

Intanto in quel preciso istante nella sala convegno del Centro Operativo Planetario di Rang, uno dei centocinquanta pianeti extrasolari, il Professor Kraner aveva convocato il suo staff, gli umanoidi del Comitato Centrale di Controllo e Sviluppo, per seguire sul monitor della consolle di comando l’esercitazione dell’Astronave “Terra 52”.»

A bordo di essa vi erano i due migliori elementi della flotta galattica: Koster, capo equipaggio, e Munch, gregario.

Entrambi avevano partecipato ad altre missioni di avvicinamento ed avvistamento, pertanto erano preparati e sufficientemente affiatati per affrontare insieme questo nuovo incarico.

Ormai erano giunti a 400 Km (200 icon ) dal pianeta Terra ed avevano penetrato lo strato della termosfera. Koster era a conoscenza che in quel tratto la temperatura avrebbe potuto raggiungere fino a 1650°C (2700 elos) e quindi si era attivato per tempo a sistemare la strumentazione di bordo affinché l’eccessivo calore non danneggiasse la struttura metallica della navicella e l’aria interna fosse adeguatamente termoregolata.

In pochi attimi l’astronave attraversò prima la mesosfera ed in rapida successione la mesopausa e la stratopausa tra gli 80 e i 50 Km (40 e 25 icon) di quota, fino ad inoltrarsi nella stratosfera a pochi chilometri dal suolo.

Il comandante guardò sotto di sé il panorama del pianeta e, giunto su Roma e avvistando il Colosseo e lo Stadio Olimpico, entrambi illuminati, li indicò al suo gregario non senza meraviglia.

«Saranno due unità della flottiglia dei terrestri?»Si domandò nel suo idioma con la voce metallica tipica dei ranghesi.

«Una mi è sembrata in rottamazione.»Aggiunse, riferendosi al Colosseo. Dall’alto, infatti, il teatro romano era apparso come un’astronave in disarmo, scoperchiata nella parte superiore e disadorna al proprio interno.

Intanto era giunto il tempo di fare rientro alla base.

«Comandante, dobbiamo rientrare?»Chiese Munch.

«Sì.»Gli rispose laconico Koster.

Concluso il giro di ricognizione, i due con una brusca virata del velivolo si dissolsero nell’immensità dello spazio, ignari che la loro breve comparsa nei cieli di Roma avesse portato tra la popolazione grande scompiglio e sconcerto.

 L’avvistamento dell’oggetto volante aveva suscitato in alcuni un grande spavento, in altri stupore e perplessità, ma soprattutto, un tale intasamento del già caotico traffico cittadino che, per farlo defluire, erano occorse alcune ore con l’intervento, al completo, del personale della Polizia Municipale dell’Urbe.

L’astronave al suo passaggio aveva inoltre provocato negli spazi interessati dal suo campo magnetico la disattivazione dei telefonini, breve interruzione di energia elettrica a macchia di leopardo e blocco di tutte le apparecchiature elettroniche.

Il Comando dell’Aeronautica Militare, in stato di allarme, aveva fatto decollare dall’aeroporto di Ciampino delle unità aeree da combattimento ma il loro intervento era stato inutile, perché risultato intempestivo.

Solo Giulio aveva tratto da quella vista motivo di grande gioia ed entusiasmo. «Papà!» Aveva detto con stupore alla comparsa dell’oggetto misterioso, mostrandolo con l’indice rivolto verso l’alto. «Guarda, un disco volante, come quello che ho a casa… ma mol-to, mooool-to più grande.» Allargate le braccia, le aveva poi distese ad indicare una grandezza incommensurabile. Egli non era riuscito a contenere la grande eccitazione provata nell’aver vissuto una esperienza indimenticabile.

 

 

Il rientro alla base

 

Rientrati alla base, gli astronauti si presentarono al Centro Operativo per fare il consueto rapporto di fine operazione al Prof. Kraner. Questi aveva convocato tutti gli operatori nella sala convegno, un ampio locale luminoso dai pannelli trasparenti e dagli arredi avveniristici e funzionali.

In emiciclo erano sistemate in ordine concentrico consolle dotate di diffusore di voce e di cervello elettronico con ampio schermo. Al centro del semicerchio dominava la tribuna.

Attraverso le lastre traslucide che delimitavano la sala si poteva ammirare un ameno paesaggio di montagne, di vallate, di fiumi e di piante lussureggianti. Nel cielo brillava un sole del tutto simile a quello che illuminava la terra. Eppure era un sole diverso… Un altro sole.

Ben presto la sala si riempì di tecnici ranghesi che, commentando tra loro i risultati della missione, creavano un gran brusìo. Quel ronzio di voci fu interrotto dall’ingresso del Professore che salutò gli astanti con un consueto «Ben sadi!» che nella loro lingua significava, appunto, buongiorno. Un coro di voci metalliche ripeté: «Ben sadi!» Poi ognuno ordinatamente occupò la propria postazione e il silenzio dominò la sala.

 

Una lezione di storia e scienza ranghese

 

Kraner occupò il proprio posto in tribuna. Ordinati con meticolosità gli appunti sul tavolo, assunse un piglio austero, tossì per meglio metallizzare la voce e diede inizio al suo discorso.

«Questo incontro tra noi»esordì «farà definitivamente luce sulla nostra origine e sull’insediamento degli umanoidi su Rang. Chiarirà inoltre le ragioni della missione compiuta dai nostri astronauti sulla Terra.»

E dopo questo preambolo si addentrò nei meandri delle sue dissertazioni: «La recente scoperta delle tavole di Parai, rinvenute nella crepa della roccia del Monte Icus, ci ha fatto comprendere quale attendibilità vi sia nella tesi, ora resa certezza, “dell’umanità parallela”, che ritiene noi umanoidi originariamente provenienti dalla Terra.

In quel pianeta circa 10.000 cros fa (50.000 anni) viveva quello che gli abitanti della Terra chiamano Homo Erectus. Su Rang, invece, nella stessa era viveva una società altamente evoluta che rischiava però l’estinzione a causa di un’epidemia che falcidiava gli esseri viventi del nostro pianeta.

Dagli studi compiuti era emerso che un innesto di geni di Ranghesi con quelli dei terrestri, avrebbe preservato la nostra popolazione dall’estinzione, rendendo il ceppo del nuovo clone più forte. Peraltro la terra, benché appartenente ad un’altra galassia, presentava e presenta caratteristiche molto simili a quelle di Rang.

Fu per questo motivo che un numeroso gruppo di terrestri, nostri progenitori, fu prelevato e trasportato con le astronavi su questo pianeta.

Si trattò, forse, ma di questo non ne siamo certi, di un vero e proprio ratto interplanetario.

Nel corso dei rodi (secoli) il loro organismo ha subito un mutamento biologico capace di garantire la loro sopravvivenza anche in condizioni estreme, mentre l’innesto dei geni ha consentito a quegli esseri di evolversi, dando origine alla nostra specie: gli umanoidi.

Inoltre ci ha dotati di una maggiore resistenza alla rarefazione dell’aria. Qui la concentrazione di ossigeno è inferiore fino al 50% a quella della terra e ciò rallenta l’effetto dell’invecchiamento e migliora le prestazioni degli organi interni.»

Gli astanti, che fino a quel momento avevano mantenuto un rigoroso silenzio, ripresero a fare commenti e il brusio si diffuse di nuovo nell’ampia sala.

«Comprendo» riprese Kraner «che la verità rivelata crei in voi un certo sconcerto ma abbiamo il dovere di informarvi e di rendervi partecipi dei programmi che intendiamo attuare nell’immediato futuro.»

Le parole del professore riportarono il silenzio in sala e l’attenzione degli astanti toccò nuovamente la curva più alta.

«Dalle indagini conoscitive effettuate con le nostre sofisticate attrezzature» proseguì Kraner «siamo venuti in possesso di dati che rivelano l’inesorabile degrado della terra e la sua inevitabile scomparsa tra poco più di 100 cros.»

Con abilità digitò sul cervello elettronico la sigla di apertura dei dati e, rilevate le informazioni richieste, le riassunse in poche parole: elevato inquinamento terracqueo ed atmosferico, disastri ecologici di notevole entità, preoccupanti radiazioni nucleari, buco nell’ozono… E qui si fermò. Mano a mano che i dati scorrevano veloci sullo schermo, Kraner scuoteva la testa, manifestando tutta la sua inquietudine.

Dalla disanima delle informazioni in suo possesso emergeva un quadro della condizione terrestre molto allarmante.

Dal fondo della sala una ranghese alzò la mano, sovrapponendo il dito medio sull’indice, mentre col pollice teneva raccolte le altre due dita. Nel loro linguaggio gestuale significava chiedere il permesso di parlare.

Kraner con un cenno della testa le accordò la parola.

«Professore» domandò allora la Wom (donna) «Cosa si è fatto e cosa si intende fare per salvare i terrestri dalla sciagura?»

«A questa domanda risponderà Koster.» E con un cenno della mano il professore passò la parola al comandante.

L’astronauta era un osm (maschio) molto prestante. Alto circa 2 ones (4 metri), si elevava dalla media dei ranghesi di almeno 3 ime (10 centimetri).

A Rang era conosciuto come un umanoide serio, determinato e professionalmente preparato, per cui i presenti si predisposero ad ascoltarlo con particolare diligenza.

«I membri del Comitato nel corso dei vari cros mi hanno assegnato diverse missioni tendenti ad appurare se vi fosse o meno la possibilità di interagire con i terrestri; vorremmo stringere con loro un gemellaggio per unire le forze nella battaglia per la salvaguardia dei pianeti e delle galassie. Ma i terrestri devono comprendere che perseverare nei loro autolesionistici comportamenti li condurrà ad inevitabile fine. Non conoscendo la loro lingua, la maggiore difficoltà per noi è vincere la radicata diffidenza che hanno verso gli alieni e trovare un sistema idoneo per comunicare con loro.

Così presso il nostro Centro di Cibernetica sono stati elaborati dei sistemi per trovare delle corrispondenze tra le parole e i suoni in lingue differenti. Constatate le numerose analogie tra il funzionamento del sistema nervoso delle persone e quello delle macchine automatiche, i nostri scienziati hanno realizzato dei dispositivi capaci di imitare tra le funzioni del cervello umano anche quelle del linguaggio parlato. A tale scopo siamo stati dotati di micro cips collegati al cervello, in grado di tradurre in ranghese e viceversa qualsiasi fonema, parola, frase profferiti in qualsiasi lingua.

Nella prossima missione ci avvarremo di tali tecnologie e ci auguriamo che grazie ad esse possiamo aprire nuovi varchi nella comunicazione con i nostri omologhi terrestri.»

L’uditorio si alzò in piedi e strofinò le facce palmari delle mani l’una contro l’altra, manifestando in tal modo il proprio apprezzamento per le relazioni ascoltate. Poi tutti uscirono tra uno stridio metallico di voci.

 

 

L’ultima missione di Koster e Munch

12 Febbraio 2019 (secondo il calendario terrestre)

 

L’astronave aveva già effettuato per ben due volte la circumnavigazione del globo terrestre, ma Koster e Munch non avevano ancora deciso dove farla atterrare.

Il comandante ricordò che nell’ultima missione, tra il 12° longitudine est ed il 42° di latitudine nord, aveva notato un campo di atterraggio, dove giaceva una astronave in rottamazione.

Decise allora che quello sarebbe stato il luogo in cui avrebbero toccato terra. Predispose gli strumenti di bordo alle operazioni da effettuarsi, inserì il pilota automatico ed attese che le apparecchiature facessero tutto da sole.

L’astronave fece una virata di circa 17 vira (70 gradi), diminuì gradatamente la sua velocità e prima di adagiarsi lentamente al suolo si fermò a mezz’aria emettendo un bagliore accecante ed espellendo i vapori da combustione. Poi quattro trampoli uscirono dal ventre del disco volante e si piantarono per terra. Le luci rotanti intermittenti, prima intense, man mano affievolirono fino a spegnersi.

Dalla calotta semisferica della cabina di comando, Koster guardò da vicino il Colosseo e subito si accorse di aver preso un abbaglio. Ciò che a lui era sembrata un’astronave in realtà era il vestigio di un’antica civiltà.

Intanto fuori si era riproposto lo stesso scenario della volta precedente: una folla si era accalcata in prossimità dell’astronave, il congestionamento del traffico aveva formato un enorme serpente di automobili e numerose flottiglie di aerei militari stavano solcando il cielo.

Dopo qualche minuto il portellone del velivolo spaziale si abbassò, trasformandosi in una pedana a scivolo. Su di essa comparvero le figure gigantesche di Koster e Munch. Alla loro vista tra i presenti si creò il panico. Tutti indietreggiarono sgomenti. Ai lati del portellone del velivolo intanto fuoriuscirono due telecamere a forma di cannoncini. Un vigilante, sentendosi minacciato ed in preda ad improvvisa paura, estrasse la pistola d’ordinanza e sparò tutti i proiettili del caricatore sui due alieni. Koster e Munch tentarono di attivare il dispositivo di traduzione. Avrebbero voluto dire siamo vostri amici, ma si accasciarono esanimi al suolo.

Guardando i corpi senza vita dei due astronauti, qualcuno commentò: «Non sono poi tanto dissimili da noi. Sono molto alti e magri, hanno la testa allungata e questi due, in particolare, mi sembravano buoni.»

Kroner, che aveva seguito la scena dal monitor della consolle di comando, attivò il dispositivo di autodistruzione dell’astronave che si incendiò, esplodendo.

Poi, agitando con disperazione le mani verso il cielo, urlò in ranghese: «Maledetti terrestri!»


Gianfranco Pasanisi

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