Reinterpretazione di fiaba con inversione del punto di vista del protagonista

 

 

 

Bruciare, incendiare, avvampare, carbonizzare, incenerire, dare fuoco a tutto era la sua unica passione, una mania che le dava eccitazione e da cui era affascinata.

La piccola piromane con i fiammiferi aveva gran dimestichezza e già in vari casi aveva tentato di appiccare le fiamme alla casa, una baracca di legno, unico e prezioso bene della sua povera famiglia.

Un giorno il padre, stanco delle sue bravate, le ingiunse di vendere i fiammiferi in suo possesso.

‹‹Non tornare se non avrai rifilato fino all’ultimo fiammifero›› le disse adirato, scacciandola via.

Era la vigilia di Natale, una serata molto fredda e la neve aveva imbiancato ogni cosa d’intorno.

La piccola non sopportava affatto il gelo, amava il calore del fuoco sfavillante e stare per strada con quella temperatura polare le procurava un grande malessere.

‹‹Comprate i miei fiammiferi›› diceva implorante ai distratti e frettolosi passanti con l’aria sofferta di chi vuole destare negli altri compassione ma, questi neppure la guardavano; indifferenti e impegnati proseguivano per il loro cammino.

Nessuno poteva immaginare che dietro quell’aria innocente della piccola fiammiferaia si celasse Nerone in gonnella.

Il suo apparente candore nascondeva infatti la sua vera natura di irriducibile incendiaria.

In preda al suo insano impulso, l’incorreggibile bambina accese un fiammifero.

All’improvviso apparve una stufa in cui scintillava un fuoco fiammeggiante

Fu presa da uno strano eccitamento ma questo ebbe breve durata, perché di lì a poco il fiammifero si spense e l’immagine scomparve.

Accese un secondo fiammifero e d’un tratto tutto s’illuminò d’intorno e i muri delle case divennero trasparenti.

Si ritrovò in un grande salone da pranzo dove c’era una tavola imbandita per il cenone di Natale e in mezzo alla tavola, meraviglia delle meraviglie, un bell’arrosto di tacchino. 

Cosa c’è di meglio di un arrosto flambé, magari unpo’ bruciacchiato? si domandò la piccola impertinente, sfregandosi le mani.

Ma lo zolfanello si spense e con esso le voglie della ragazzina. Tutto, come per incanto, scomparve.

Accese così un terzo fiammifero e apparve un grande albero di Natale dalle mille luci colorate.

Non ho mai avuto un regalo di Natale, pensò e le balenò l’idea di farselo da sé. Tentò di dar fuoco all’albero ma il fiammifero si spense.

D’un tratto le sembrò che le molteplici luci si librassero verso il cielo e divenissero stelle.

Una scia luminosa comparve fugace nel firmamento.

Oh! È caduta una stella, forse è morto qualcuno considerò la fanciulla.

Ricordò che la vecchia nonna le aveva detto: ‹‹Quando cade una stella vuol dire che l’anima di qualcuno sale in cielo.››

La piccola accese un altro fiammifero, non perché avesse freddo ma perché era eccitata dall’effetto fantastico delle sue irresistibili combustioni.

Il gelo ora le era indifferente. In lei ormai ardeva il fuoco della sua scriteriata frenesia.

D’un tratto le comparve la nonna morta, l’unica che la odiasse tanto.

La piccola infatti aveva dato fuoco al grande camicione della vecchia con la vegliarda dentro e questa era dipartita covando dentro di sé una vendetta spietata verso la giovane birba.

La nonnina “amorevole” prese la nipotina tra le sue braccia e la strinse forte in una presa letale.

Il giorno dopo il sole del mattino illuminò il corpo inanimato e irrigidito dal gelo della ragazzina.

Da un crocchio di curiosi si levò una voce: ‹‹Povera bambina deve avere acceso tutti i fiammiferi per scaldarsi.››

Nessuno immaginò cosa in realtà fosse accaduto.

La fiammiferaia morendo, per la legge del contrappasso, finì all’inferno dove vive in eterno felice e contenta tra un allegro e schioppettante crepitio di fiamme.

  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0