La diagnosi era: abuso e dipendenza patologica.

 

La prima sera fu terribile, senza contatti con il resto del mondo, senza connessione, senza nemmeno il cellulare. 
Isolamento totale. Ingurgitai una manciata di pillole e sperai di addormentarmi subito, mentre già brividi di panico mi possedevano inesorabilmente. 

Non ricordo, non ne sono certa: forse mi addormentai subito, però fu una nottata di incubi e crampi allo stomaco, agli arti, soprattutto ai polpacci, e, alle dita delle mani, sensazioni di mille chiodi. 
La testa era un bidone di spazzatura: c’era di tutto e s’ammassavano urla e odori, stracci, avanzi di pellicole ingarbugliate e nastri magnetici, ritagli di giornali, pagine strappate, Spingevano con una forza incredibile contro le pareti del cranio. Ero certa che sarebbe esploso, che sarei esplosa da un momento all’altro per la pressione di quel magma. Bruciava come benzina accesa e puzzava di petrolio. Chi ha rovesciato la lampada? Perché mancava la corrente? 

Come avevo fatto a ridurmi così? 

Il mattino dopo ero già irriconoscibile. Sforzi enormi per sollevare un corpo che sembrava non appartenermi. Mi trascinai sotto la doccia, rifiutai qualsiasi cibo. Mi nutrirono di capsule energetiche e sedativi: il mio nuovo pane quotidiano. 

Liberami, tu che lo puoi, da questo supplizio... pregavo, come non avevo mai fatto prima. 

Mi portarono all’aperto. Le parole premevano nella testa con sempre maggior forza, poi, piano, si spensero nel buio della tranquillità gestita. Somministrazioni dosate, ad intervalli regolari e la notte integravo di nascosto con quelle pillole che ero riuscita a procurarmi, nonostante la sorveglianza. 

Ed era solo la prima settimana. 

Di giorno avevo gli occhi aperti, ma non vedevo nulla, ascoltavo solo voci mie, che arrivavano improvvise e poi si spegnevano, come imbavagliate. Annuivo di finta accondiscendenza ad ogni ordine e intanto urlavo dentro di me, nei pochi momenti di lucidità. 

Poi voci e odori, urla e parole si fecero sempre più sommesse, lontane: erano riusciti ad alienarmi da me stessa, ma era una dissociazione falsa, controllata, che avrebbe dovuto salvarmi. 
Quanti giorni? Quante settimane? Non tenevo il conto, non sapevo più nulla di ciò che ero e di ciò che facevo. 
Le giornate erano sempre uguali, la vita si allontanava, dicevano che stavo superando la crisi. 


Nasceva intanto qualcosa, nel buio, nel frastuono o nel silenzio, di giorno, come nel sonno. Nasceva una forza diversa, una noce nella noce, ma integra, consapevole, forte. 
La sentivo crescere in me, di minuto in minuto. Sentivo che potevo fidarmi, che non dovevo oppormi. Anzi, l’assecondai ed il caos prese nuova forma nella mia testa, si arrotolò come un gomitolo ordinato di suoni, di luci e colori, di odori e immagini tridimensionali. 

I sedativi non avevano più effetto su di me per questa nuova forza che mi sosteneva e dirigeva i miei passi per una finta sottomissione alle regole, agli orari fissati, alle risposte desiderate. 
Mi trovarono migliorata e relativamente tranquilla. 
Cominciarono a scalare i dosaggi, intanto avvertivo di nuovo la carezza del sole sulla pelle, il benefico sollievo del vento. Mi interessai al cibo, senza eccedere: dovevo essere convincente, docile e ragionevole. 

Ma la forza cresceva in me senza incertezze, finché mi sentii pronta ed organizzai ogni cosa. 
Mi ero abituata ai sonniferi, come ci si abitua al veleno, e non avevano più alcun effetto su di me. Nella notte potevo alzarmi a mio piacere e muovermi con agilità. 

Non c’erano serrature, la via era libera. Le uniche barriere previste erano di natura chimica e quelle le avevo già sconfitte. Raggiunsi il computer incustodito: il responsabile aveva il suo turno di riposo. 
Guardai le dita. Si erano esercitate tante volte in quei giorni d’attesa ed ora erano in grande forma. 
Aprii Word e lasciai uscire le parole allo scoperto, disciplinatamente, così come avevo deciso ed eccole prendere forma sul monitor, in ordinata sequenza. 
Le dita danzavano, il gomitolo di magma prima bruciante, ora libero, si dipanava lento e tranquillo sulle pagine. 

Al mattino c’erano nuovi racconti, versi maturi, pagine di diario intimo. Erano di nuovo pensieri liberi, nati dal fallimento di una inutile terapia di disintossicazione e stavo bene, finalmente! 

 

( Nota: non lasciatevi ingannare, la droga non c'entra proprio)

 

  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0