(Monologo)

Scena priva di arredi. Sullo sfondo campeggia la foto di una donna ritratta a mezzo busto. Un uomo in evidente stato di inquietudine recita il seguente monologo:

 

<<Credi di avermi colpito mortalmente? No! Ho riportato solo una tollerabile ferita, come tante nella vita… Poi guarite. La mia anima è piena di lividi, di piaghe rimarginate dal tempo ma tu hai voluto di nuovo trafiggermi, senza concedermi la scelta delle armi. Hai affondato una sottile lama nel petto, ma la mia corazza mi ha preservato dai colpi, dalla perfidia, dalla pervicace malvagità. Mi hai sfidato in un duello impari con la forza dei tuoi convincimenti, col vigore delle certezze che sentivi solide in te ma che si sono rivelate frangibili come vetro. Da cosa ti deriva tale tracotanza? Conosco la tua spocchia e ne intendo le ragioni, i motivi che ti spingono ad agire con tale presunzione. Sappi, il tuo gioco al massacro non è la tua forza: esso è la tua debolezza. Rivela ciò che non sei e che vorresti essere. La contesa non ti vedrà vincitrice perché soccomberai per sua cagione. Celebrerai la vittoria su un cumulo di rovine, sul rimorso, sul pentimento, sulla tua insensata ed inutile superbia. Ti concedo tutte le presunte ragioni, le tue mistificazioni e tengo per me quelli che, per te, sono i miei torti. Perché mi guardi con occhi offuscati dalla rabbia di non avermi più e non scruti invece con i miei occhi, con gli sguardi della mia anima, della mia interiorità che pure traspare dalle espressioni del viso, dai gesti, dalle parole che non sai cogliere nel loro intimo significato? Non trionferai sul mio destino ormai segnato dalla risoluzione, dalla solitudine voluta, desiderata, vagheggiata a lungo. Non eroderai con la perfidia le mie solidità mai ossidate da false e miserevoli blandizie.  Nel tuo vocabolario non esiste il sostantivo amore e ancor meno la parola tenerezza. Chiuso è il tuo cuore, ingabbiato da sciocco orgoglio, da vana superbia, da egoismo.

Chi semina vento, non può che raccogliere tempesta. Chi sparge semenza di biada, non può mietere grano. Ogni pianta da i suoi frutti. I tuoi sono velenosi ed amari come cicuta, allappanti come drupe acerbe, spinosi come rovi. Nel teatro dell’amore, hai calcato la scena come pessima comparsa lasciandomi il ruolo di primo attore, la parte che mi è connaturale e che ho sempre interpretato con abituale versatilità.

Ormai siamo all’ultimo atto, il colpo mortale alla nostra relazione è stato inferto. Il sipario sta per calare sull’evitabile duello che non ci vede né vinti né vincitori, che non strapperà l’applauso dell’incurante pubblico e il cui esito sopravvivrà anche alla feroce critica delle malelingue, ai loro maligni sogghigni beffardi.  Così hai voluto… E così sia>>.

(Cala il sipario)

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