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Scritto da Gianfranco Pasanisi. Pubblicato in Prosa il 21 Dic 2016.
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Da sempre, il suo più grande desiderio era quello di vivere ad Hannover dove abitava sua sorella maggiore, in una villa situata proprio all’ingresso della città, affianco al cartello “Willkommen”. 

Aveva carezzato anche l’dea di dimorare a Hohhot, domicilio di tre sue analoghe, una un po’ più grande di lei: le altre due, sue coetanee.

Non si può avere tutto nella vita e talvolta bisogna rinunciare ai desideri. Era solita pensare.

La sua famiglia era sparsa un po’ per il globo e lei, non avendo il dono dell’ubiquità, non poteva trovarsi nel contempo ad Ha Noi, a Helena, a Hel, a Hone Foss, ad Heraclion o in molte decine di altri posti.

Per ora, si contentava di vivere in solitudine in Italia, in un hotel a Hône, amena cittadina   situata alla destra orografica della Dora Baltea, ma il suo sogno era quello di visitare il mondo.

Intanto per vincere la noia si era inventata un hobby: allevare in un acquario un gran numero di Halibut, pesci della specie Hippoglossus – hippoglossus e, nella grande gabbia del giardino, una dozzina di uccelli tropicali Hatzin.

Il suo isolamento era aggravato dal fatto che la sventurata era anche muta.

Non poteva neppure articolare il suo nome, poteva soltanto dichiararlo per iscritto.

Si sentiva discriminata, come le sue omologhe sorde… Ma almeno loro erano in due e potevano tenersi compagnia.

Qualcuno le aveva detto: << Chi è muto, sordo e tace campa cent’anni in pace>>, ma la poveretta non si sentiva mafiosa.<<Aborro l’omertà>> soleva dichiarare.  Aveva uno spiccato senso civico e voleva comunicare.

Nell’ambiente in cui viveva, solo lei non esprimeva un suono, tutte le altre nella fonetica ci sguazzavano.

C’erano le gutturali, le labiali, le nasali, le dolci, le aspre, ma   muta era solo lei.

Provava verso le altre un gran livore perché la dileggiavano per la sua incapacità di parola.

Si rodeva dentro, era biliosa.

<< Cosa ci sta a fare con noi una come quella?>> si chiedevano le sue colleghe.

E lei meschina si intristiva.

Eppure, era disponibile con tutte. Si concedeva, era amorevole, ma la ignoravano.

<< Perché le altre sono così malvage?>> si domandava sconsolata, lieta però di poter parlare almeno con se stessa.

A furia di rosicchiarsi nell’intimo aveva compromesso il suo equilibrio.

Per la persistente depressione era diventata bulimica.

Si abbuffava di Hot–dog e Hamburger hawaiani e intanto il suo peso cresceva a dismisura.

Un bel giorno, snervata, prese il coraggio a due mani.

Andò dallo psicologo.

<< Mi chiamo Acca, sono l’ottava in ordine alfabetico ma sono stanca di esistere, mi sento inutile >> scrisse su un taccuino, distesa sul lettino dello psicoterapeuta.

<< Non devi deprimerti, tutti siamo utili. Se tu non ci fossi non vi sarebbero gli accampamenti, gli accappatoi, gli accalappiacani e tante altre cose. Per esempio l’esistenza sarebbe monotona, scialba, senza alcun accadimento>> disse, convincente, l’analista.

<< E’ vero. Ma non ci sarebbe neppure accanimento verso di me >> scribacchiò la paziente, lasciando interdetto il suo interlocutore.

La psicoterapia alfine risultò efficace. La muta si sentì rinfrancata e determinata:

<< Ora andrò da un logopedista >> si disse.

E ci andò.

<< Usa nel giusto modo le contrazioni del diaframma e vedrai che qualche effetto acustico lo produrrai >>le insegnò l’esperto.

Si esercitò. Provò e riprovò fino all’inverosimile.

La corda “vocale” situata nella laringe non produsse alcun suono, la corda “consonantica”  invece diede qualche segnale, ma solo quando la reietta si unì   a due nuove conoscenze la C e la  G.

Era soddisfatta, un pur minimo risultato lo aveva ottenuto.

Ora poteva affrontare la nuova condizione con serenità.

 

 

 


Gianfranco Pasanisi

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