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Scritto da Gianfranco Pasanisi. Pubblicato in Prosa il 14 Dic 2016.
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Folle idea

 

 

 

Il commissario D’Alessio quella mattina si era alzato obliquo. Aveva dormito sì e no tre o quattro ore.

Durante la notte era stato svegliato per un caso anomalo di omicidio e ora si accingeva ad andare in ufficio con la consapevolezza di trovarsi nella sua peggiore disposizione d’animo.

Quando suonò il campanello di casa, egli era già vestito di tutto punto, i segni della stanchezza erano stati cancellati dal viso da accurata rasatura e la pelle delle guance era stata tonificata da un ottimo aftershave.

Aperto l’uscio, apparve la figura segaligna del suo autista, scapitata da una divisa troppo abbondante e da un’espressione inebetita e imperturbabile.

«Dottò, la macchi…na è pron…ta.» Biascicò con la sua solita flemma sonnacchiosa l’agente Carlino.

«Andiamo!» Disse deciso D’Alessio, chiudendo a chiave la porta del suo appartamento. Poi con tono ironico apostrofò il suo aiutante: «Carlì, una divisa di dieci taglie più piccola non ce l’hai… Eh?»

«No, no, dottò. È che mi sono dimagrito.» Rispose serafico Carlino.

Il funzionario avrebbe voluto replicare ma di fronte all’espressione disarmante dell’agente, desistette. Sì, ma a malincuore. Del resto, aveva altro cui pensare, certamente più importante della divisa del suo dipendente.

 

Entrato in ufficio, sopraggiunse poco dopo l’ispettore Ranieri, che gli mise sulla scrivania un fascicolo a 2ª, un carteggio inserito in una custodia di colore rosso in uso ai commissariati di Polizia e intestato ai pregiudicati.

D’Alessio diede subito un’occhiata al frontespizio e vi lesse: Carmine IUNCO Indagato per l’omicidio di Cosimo RECCHIA.

«Ispettore, il fascicolo è completo?» Domandò il funzionario.

«Certo, Dottore. Ho provveduto ad aggiornarlo personalmente.» Rispose col suo solito garbo l’Ispettore.

D’Alessio, conoscendo la meticolosità e la solerzia di Ranieri, si vergognò un po’ di aver fatto quella domanda.

Invero, lo aveva scelto come suo braccio destro proprio perché di lui apprezzava le spiccate doti professionali e il contegno del comportamento.

Pensò che in un certo senso Ranieri gli somigliasse.

Sempre formale e dignitoso, indossava con decoro la divisa, aveva un gran riguardo della sua persona e una cura meticolosa del suo fisico prestante e atletico.

Abbandonate le considerazioni fatte sul conto di Ranieri, che lo avevano in qualche modo distratto, D’Alessio aprì il fascicolo e ne visionò accuratamente il contenuto.

Mano a mano che scorreva gli atti di Polizia Giudiziaria, ripeteva mentalmente: Verbale di arresto di Carmine Iunco, verbale di sequestro di un coltello a serramanico, delega dell’A.G. per l’interrogatorio dell’indagato, nomina dell’Avvocato d’Ufficio.

Poi la sua attenzione fu attratta da una cartellina registrata C.I.M. (Centro di Igiene Mentale), al cui interno vi era la relazione del profilo psichiatrico di Carmine Iunco.

Ne lesse una decina di pagine, compresse con i polpastrelli dell’indice e del pollice i lacrimali per meglio inumidire gli occhi stanchi, poi sfogliò velocemente le altre pagine del referto.

Si soffermò sull’ultima pagina, prese un evidenziatore e segnò con un tratto giallo le conclusioni. In sintesi, vi era scritto, trattasi di soggetto psicotico affetto da schizofrenia paranoide. Spesso è in preda ad un delirio d’influenzamento, è convinto che altri suggestionino il suo pensiero. Tende a difendersi dalle persone che crede a lui ostili e che presume complottino contro di lui. È animato da desiderio di vendetta.

Letta la firma del relatore, D’Alessio fece un balzo sulla sedia come se lo avesse morsicato una tarantola.

«Ispettore!» Strepitò, abdicando al suo abituale autocontrollo.

Ranieri, compostamente come il suo solito, rispose alla chiamata del suo superiore: «Che cosa desidera Dottore?»

«Faccia entrare Carmine Iunco e il suo legale. Dovremo procedere a interrogatorio.» Disse con voce stentorea il funzionario.

In attesa che entrassero i due convocati, il Commissario ricordò i consigli suggeritigli dal suo amico psicologo: Se sei teso - gli aveva detto – e devi affrontare una situazione stressante, poggia i gomiti sulla scrivania, intreccia le dita delle mani e ponile sotto il mento, poi divarica le gambe e stendi in avanti i piedi.

D’Alessio si mise in posa, pur nella consapevolezza che non fosse da persona ben educata assumere quella posizione alla presenza di estranei.

Iunco e l’avvocato d’ufficio furono introdotti da Ranieri che li accompagnò al cospetto del funzionario per poi occupare la postazione di un computer.

Alle spalle dei due, che intanto erano stati invitati a sedersi, si dispose Carlino.

Immobile come uno spaventapasseri e con la solita faccia inespressiva, si era messo dritto in piedi, secco e allampanato.

Iunco, ammanettato, stava sulla sedia come si sta sui carboni accesi.

Di media altezza, robusto, corrugava spesso la bassa fronte, nascondendo gli occhi piccoli sotto sopracciglia cespugliose e unite.

Si guardava intorno con una sorta di agitazione psicomotoria come se temesse che qualcuno lo aggredisse. Poi, all’improvviso, assumeva una rigidità catatonica; il suo sguardo diveniva assente e gli occhi fissavano un punto immaginario.

L’avvocato osservava il suo cliente con evidente timore e preoccupazione. Se non fosse stato perché da qualche tempo non patrocinava alcuna causa, avrebbe declinato volentieri l’incarico.

D’Alessio, da buon poliziotto, ispezionava, esaminava, studiava e scrutava entrambi.

Considerava che all’Avvocato fosse capitato il peggior cliente e a Iunco fosse stato assegnato il più scalcinato degli avvocati.

L’avvocato Misseni, questo era il nome del legale, dal suo aspetto faceva trasparire tutta la sua sciatteria, senza nulla tralasciare di sé.

Quarantacinquenne, dimostrava almeno un terzo in più della sua età e ostentava senza pudore le sue specifiche peculiarità: barba incolta, camicia dal collo unto e liso, scarpe impolverate, pantalone dalla piega che non si vedeva neanche a volerla immaginare.

Tra lui e il dottor D’Alessio vi era evidente dissomiglianza che sfociò ben presto in reciproca insofferenza.

L’Avvocato, osservando le pareti del Commissariato tappezzate di attestati per encomi solenni, concessi al funzionario, si sentì ancora più sminuito nella funzione di mediocre legale d’ufficio.

Manifestando tutto il suo disagio, faceva scorrere l’indice della mano destra nel collo della camicia, girando e rigirando il capo ora a destra, ora a sinistra, lanciando occhiate d’invidia sugli stramaledetti attestati.

Esperite le formalità di rito da parte di Ranieri, il Dottor D’Alessio diede inizio all’interrogatorio di Iunco.

«Perché ha ucciso Cosimo Recchia?» Chiese il funzionario.

A questa domanda Iunco strabuzzò gli occhi e farfugliò: «Lui voleva… io, sa non sapevo... Non aveva capito… Glielo avevo detto… E allora io… zac, zac, zac.»

Si fermò quasi a voler ricomporre le idee; tacque per un po’ irrigidendosi, poi con concitata e compulsiva logorrea iniziò il suo racconto: «Dottore lui voleva influenzare il mio pensiero mi diceva che quello che facevo era tutto sbagliato che le mie erano allucinazioni che la voce che mi chiamava in realtà era frutto della mia fantasia voleva cambiarmi io non volevo io sono io perché cambiare sono pago di essere così poi lui insisteva io glielo dicevo ma lui non capiva sono Carmine Iunco non un altro io glielo dicevo ma lui ancora insisteva e allora io zac, zac, zac»

«Ma egli voleva guarirti, era il tuo psichiatra.» Lo interruppe D’Alessio.

Alla parola “psichiatra” Iunco si alzò minaccioso, puntò gli occhi contro il funzionario e, se non fosse stato trattenuto dall’Agente Carlino, si sarebbe scagliato contro di lui con tutto il suo corpo.

«Portatelo via! |» Intimò il Commissario.

Attratti dalle grida, intervennero due agenti che a viva forza allontanarono l’esagitato Carmine Iunco.

L’avvocato, rivolto al Dottor D’Alessio, con enfasi oratoria ed usando il pluralis maiestatis dichiarò solennemente: «Chiederemo al giudice il riconoscimento dell’infermità mentale del mio cliente, per acclarata incapacità di intendere e di volere.»

Per un momento, si sentì un affermato principe del Foro.


Gianfranco Pasanisi

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