Racconto con linguaggio pervasivo: proverbi e modi di dire
Clodoveo entrò nello studio della Dottoressa MINERVINI con manifesto imbarazzo.
Un po’ imbranato lo era sempre stato, ma ora che avrebbe dovuto sottoporsi ad analisi psicologica il suo impaccio si poteva tagliare col coltello.
Gli si presentò davanti un’avvenente signora: bionda, occhi azzurri, capelli fluenti che contornavano un ovale perfetto.
<< Anche l’occhio vuole la sua parte>> pensò e tale considerazione, lo rasserenò un po’.
Fu accolto da uno smagliante sorriso che scopriva una dentatura bianchissima e perfetta.
<<Però!>> Valutò <<Benché io preferisca le brune, sarà un piacere farsi psicanalizzare da una bionda platinata. Chi ben comincia è a metà dell’opera.>>
Accomodatosi al di qua della scrivania, si vide puntare addosso uno sguardo indagatore. Si guardò addosso :<<C’ è qualcosa che non va nell’abbigliamento? Ho forse un aspetto poco rassicurante?>> si domandò apprensivo.
Ricordò l’insegnamento della madre:<< Male non fare e paura non avere>>
In coscienza, non aveva mai fatto male a nessuno per cui ricambiò lo sguardo ricevuto, con un altro di sfida. << Chi la fa, l’aspetti!>>.
D’un tratto il volto della psicoterapeuta mutò. Assunse un’espressione professionale: le labbra si serrarono a sedere di gallina, la fronte si aggrottò, storse il naso.
<<Mala tempora currunt!>> esclamò il pavido paziente… e un indiscreto rossore gli imporporò le guance. Ebbe l’impressione di essere caduto dalla padella nella brace. Era venuto a ricevere grazia e invece vi trovava giustizia.
<< Ormai ci siamo e ci resteremo>>. Qualcuno l’aveva detto prima di lui, ma non ricordava chifosse stato.
<< Bisogna prendere il toro per le corna e qui “o la va, o la spacca” >>.
Permeato di proverbi che, come si sa, sono la saggezza dei popoli, si sentì pronto a tutto. Da quel colloquio dipendeva una nuova assunzione lavorativa e dunque avrebbe dovuto dare buona impressione di sé.
Intanto la strizzacervelli gli sparò davanti un reattivo di RORSCHACH e con un tono imperativo gli domandò:
<< Mi dica: cosa vede?>>
<< Una macchia. Semplicemente, una macchia nera dalle sfumature grigie.>>
<< Non vede nient’altro? Che ne so, alberi, animali, oggetti strani>>
<<Dovrei vederli? E’ Grave? Vedo solo una macchia. E’ la fotocopia di quella che mi procurai quando schizzai sul grembiulino bianco delle elementari l’inchiostro della penna “Aurora “, ricevuta in regalo, il giorno della mia prima comunione. Avrebbe dovuto vederla: era bella e di gran pregio, col cappuccio ed il pennino d’oro.>>
Poi guardò la chiazza con maggiore attenzione: << Si, è proprio lei. E come quell’inguacchio che feci a otto anni. Lo ricordo bene. Ho ancora sul posteriore i segni lasciati dalle manine delicate di mia madre, al rientro da scuola. Su quella parte molle del mio corpo che WODEHOUSE definisce “estremità della spina dorsale che non confina con la testa” vi sono le impronte delle creste papillari delle dita dell’amata genitrice. Rilevate col metodo GASTI, presentano struttura mono delta. A quel tempo, noi bambini non subivamo traumi psicologici per qualche sculaccione ben assestato in quella parte là. “Raddrizza l’albero quando è tenero”; era il motto dei nostri genitori. Non ci sono più i bambini di una volta che crescevano bene a botte e panelle>>
La psicologa lo guardò con occhi commiserevoli.
<< Oh mamma mia!>> esclamò Clodoveo all’indirizzo di quell’attento interlocutore che era il suo alter ego. << Qui le cose si mettono in negativo e si va di male in peggio. Devo aver detto qualcosa che non va. Ma ormai la frittata è fatta. Mettiamoci l’anima in pace.>>
Sconsolata e depressa, la terapista prese dal cassetto un grosso fascicolo e l’aprì.
L’ansioso dirimpettaio diede una sbirciatina e, con la coda dell’occhio, lesse la scritta: MINNESOTA. Ebbe delle vampate di calore e la pressione sanguigna salì alle stelle.
<< Sarà la solita americanata, come la Coca Cola che non saprai mai cosa ci mettono dentro>>.
Fece appena in tempo a completare il suo pensiero che la bionda platinata, con un sorriso mefistofelico, gli scaricò addosso un’altra domanda: << Ha mai desiderato di ammazzare suo padre?>>
<< Mio padre? No. Come avrei potuto desiderarlo. Pover’uomo …Ha consumato una vita fatta di sacrifici per assicurarmi un futuro, sopporta la moglie da quaranta lunghi anni…>>.
Pensò che se la dottoressa gli avesse fornito un’altra opzione forse qualcuno da voler ammazzare lo avrebbe trovato, tra le pieghe dei suoi ricordi. Ma per quanto ci pensasse non gli sovveniva nessuno degno di essere privato, per sua mano, della vita.
<< No.>> Continuò << Non ho mai desiderato di ammazzare alcuno. Ho il cuore tenero, io. Mi commuovo anche quando, nell’orto, taglio il radicchio>>.
<< E sua madre?>> Incalzò l’Arpia.
<< A cagione dei segni che giacciono nel fondo che non vede mai il sole? Assolutamente, no. Adoro mia madre, genitrice e sposa esemplare, ottima educatrice, dolce, amorevole come poche donne al mondo. L’omicidio non è nei miei pensieri. Ho ricevuto una buona educazione. Sono dotato di buoni freni inibitori che peraltro sottopongo a periodica verifica. Spesso ci cambio anche le pasticche. Essi allontanano da me gli impulsi crimino- impellenti.>>
La psicologa era sbalestrata ma un rigurgito di orgoglio professionale le suggerì due altre domande da fare, sempre, esumate dal MINNESOTA:
<< Le piacciono i fiori? Farebbe il fioraio?>>
Clodoveo si ritrasse dubbioso, poi raccolse le idee e rispose con tono deciso:
<< Il fioraio? E me lo chiede pure? Sono disoccupato e mi adatterei a fare di tutto anche l’operatore ecologico o il pulitore dei cessi. Accetterei perfino una retribuzione minima. Di questi tempi, chi si contenta gode. Per quanto riguarda i fiori essi mi piacciono assai. Mi incanto quando posso ammirare “I girasoli “di Van Gogh.>>
Ebbe un ripensamento. Ricordò che il pittore morì suicida e sperò, in cuor suo, di non aver fatto una gaffe che gli avesse pregiudicato il giudizio positivo dell’interrogante.
<< Va bene, per oggi basta >> disse esausta la psicologa, facendosi cascare le braccia.
<< Ci rivedremo domani alla stessa ora>>.
Rinfrancato, Clodoveo si alzò dalla sedia e si sentì leggero come una piuma.
Inserì la mano destra tra i bottoni del giubbotto all’altezza dello stomaco, fece il gesto di comprimere l’ulcera con una smorfia di sofferenza e introdusse il mignolo della mano sinistra nella cavità dell’orecchio scuotendolo forte.
Poi “chinati i rai fulminei, le braccia al sen conserte “si avviò verso l’uscita. Felice e contento si allontanò. << Per oggi, è fatta>> si disse compiaciuto
<< Ce ne vogliono di psicologi per farmi fesso. Non mi fanno paura. Figuriamoci… Ho combattuto contro Wellington.>>
Un atroce, ultimo interrogativo però lo angustiò:<< E di domani che ne sarà?>>
<< Domani è un altro giorno, si vedrà >> canticchiò, stonando come una campana scheggiata.
Gianfranco Pasanisi
54 176 57
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