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Scritto da Cristiano Sias. Pubblicato in Note e pensieri il 10 Ago 2022.
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Tutti lo sappiamo, l'infinito di Leopardi è forse la lirica più bella, e per molti, compreso il sottoscritto, la "poesia perfetta", eppure perfetta non è, almeno come la leggiamo ovunque e come ci viene tramandata e insegnata a scuola, cioè così:

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.


È ora di fare un po' di chiarezza. Uno dei motivi per i quali si definisce l'infinito una poesia perfetta è il fatto che sia scritta in endecasillabi perfetti. Ma c'è un verso, il terz'ultimo, che dappertutto viene scritto così: "e viva, e il suon di lei. Così tra questa". Ebbene, se andiamo a controllare notiamo che le sillabe sono 12 e che così scritto non è nemmeno un endecasillabo perché l'accento cade sulla quinta sillaba, e non sulla quarta, o sesta, indispensabili per il giusto ritmo del verso. Solo l'accento sulla settima è rispettato. Pare infatti un po' forzata la sinalefe (l'unione sillabica tra due parole che hanno due vocali a contatto, dunque con un'unica naturale emissione di fiato) di a-e-i in "viva e il suon". Non è neanche un trittongo ovviamente. Quindi in quelle tre vocali c'è uno iato, o dieresi che si voglia chiamare, cioè una "separazione sillabica", sia che le leggiamo "ae-i", sia "a-ei", quest'ultima altamente sconsigliata per l'unione di due vocali più "forti". Quindi il verso sìffatto è errato.
Ma come è possibile?
Stiamo parlando di Leopardi, non di pinco pallo poeta social, ed ecco che la risposta ci viene leggendo gli scritti originali del maestro, nei quali, tralasciando quell'immensità che diventa infinità, ci accorgiamo che il verso è scritto così: "e viva, e 'l suon di lei. Così tra questa".
La differenza, apparentemente minima, è determinante: sparisce una vocale forte che diventa istintiva e trasparente nella lettura, senza molta importanza infine nella pronuncia, secondo quel fenomeno di elisione vocalitica finale che qui diventa iniziale, che Leopardi usa anche nell'ultimo verso (e 'l naufragar) per motivi solo di snellezza del verso, ma che restituisce scorrevolezza e ritmo all'insieme, e l'endecasillabo così torna perfetto.
Anche Dante usò molto questo sistema, "E ’l sol montava ’n sù con quelle stelle", e per fortuna ha avuto studiosi più competenti che hanno mantenuto così i versi, ma se pensiamo ad altre lingue d'origine latina, oltre a dialetti come il noto "er più" romanesco, non possiamo non ricordare "El merendero", che non è altro che una scherzosa fusione di una elisione.
È vero che oggi questo scrivere non si usa più, salvo in poesia, come capita anche a me qualche volta, ma forse qualcuno pensava che fosse uguale e, scritta così, più attuale e moderna? Passino le classiche maiuscole a inizio verso, ormai universalmente ripudiate, ma una vocale è una vocale, non la si può aggiungere o cambiare. È una piccola cosa, ma imperdonabile.
Su questo fatto poi si potrebbe discutere, come anche sulle mancanze di conoscenza poetica di molti suoi "ammiratori", e critici, cattedratici saccenti compresi, e leggendo le poesie, siano classici o no, di fatti simili potremo trovarne tanti, ma mi sembrava giusto segnalarlo.
Non prendete mai nulla insomma per oro colato, soprattutto nelle traduzioni fantasiose degli stranieri, ma almeno restituiamo a Leopardi quello che è di Leopardi.


Cristiano Sias

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