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Scritto da Gianfranco Pasanisi. Pubblicato in Prosa il 04 Feb 2017.
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Quella notte il signor Ugo aveva dormito affatto.

Aveva avvertito un fastidioso dolore, peraltro ancora persistente, in mezzo alle due metà mollicce del posteriore, laddove per intenderci, i calci trovano con la punta della scarpa la sconveniente ma appropriata collocazione.

Pensò di fare del suo corpo ignudo una fotocopia fronte retro allo specchio e nel volgere le terga al replicante, dopo necessaria ed inevitabile torsione e piegamento del busto, notò che la zona coccigea era arrossata da una inspiegabile infiammazione.

La considerò una temporanea irritazione dovuta a strofinamento da postura sedentaria e, seppure non del tutto rinfrancato, lasciò cadere la cosa, ritenendola di secondaria importanza.

Si rimirò ma, questa volta, solo di fronte. Nell’esaminare il proprio corpo riflesso, ebbe di sé una pessima opinione.

Osservò la figura magra e rinsecchita, il cranio eccessivamente sviluppato, le lunghe braccia scendenti, la costituzione fragile e, nel valutare quelle fattezze, si immalinconì.

Rimuginò sul suo stato, sulla sua condizione e provò un imbarazzante malessere interiore.

Da sempre, dentro di sé, s’agitava il desiderio di amare e di essere amato.

Ma quale donna lo avrebbe mai degnato di attenzione?

Ugo era infatti uno strano essere. Chi lo conosceva lo descriveva, al di là dell’aspetto fisico non proprio gradevole, un soggetto amorfo, abulico, asettico, una persona che faceva inoltre raro e dislalico uso della parola.

L’afrasìa era l’ennesima sua caratteristica che conteneva, anch’essa nel prefisso, l’αlfa privativa a voler sottolineare che egli era davvero sfornito di tutto.

Ma sguarnito lo era solo all’apparenza.

In realtà non riusciva ad esprimere nell’esteriorità la percezione dell’interiore, che non si apriva al mondo esterno, agli altri.

Riposto nell’ intimo si agitava un mondo sensibile di emozioni, di percezioni, che i gesti e i comportamenti non raccontavano, restando non intellegibili ai suoi simili.

Come poteva essere compreso se nella statica inespressività appariva un oggetto senza vita, senz’anima?

 

*****

 

Ogni mattina, al risveglio, esaminava lo stato dell’infiammazione che, intanto, aveva assunto maggiore dimensione.

Era diventata ormai una protuberanza tumefatta, una pronunciata protrusione che gli destava preoccupazione.

Una notte quell’appendice fastidiosa gli impedì di dormire.

Egli cercò di trovare nel letto la posizione più adatta per addormentarsi ma quell’incomodo prolungamento gli ostacolava i movimenti.

Decise di alzarsi e, all’improvviso, sentì uno strano mutamento.

Il coccige si allungava all’esterno e le vertebre caudali si estendevano spropositatamente.

Poco dopo, si formò una vera e propria coda rivestita di un liscio tessuto epiteliale rosaceo, della lunghezza di circa trenta centimetri.

Ugo si specchiò, toccò con mano tremolante il corpo estraneo, ne verificò la viscida tattilità e provò profonda indignazione.

La coda si mosse e con spostamento incontrollato si orientò a sinistra.

Fu preda di istintiva rabbia, sentì salire il sangue alla testa. Poi subentrò il disorientamento, l’avvilimento.

Come ad esprimere quegli stati d’animo, la coda si posizionò rigida e tesa in orizzontale rispetto al suo corpo per poi abbassarsi tra le gambe.

L’estremità caudale con la motilità espressiva dava dei segnali propriocettivi che leggevano e traducevano all’esterno, l’interiorità di Ugo. Quella propaggine fungeva ormai da indicatore emotivo, passionale e comportamentale del possessore.

 

 

*****

 

Con la coda alta e lo spirito rinfrancato Ugo si recò in sartoria. Dovendo convivere con quella escrescenza, aveva deciso di farsi confezionare una adeguata custodia in stoffa, per coprire la nudità della neo formazione.

La sartoria era un laboratorio ormai antiquato gestito da Clotilde, una donna di cinquant’anni, che ne dimostrava, ad essere concedenti, almeno sessanta.

La sartina era un essere minuto e deperito. Somigliava alla Quaresima in stoffa, che in alcuni paesi del sud Italia appendono dopo il carnevale sopra un rogo di legna.

Godeva, con estremo rimpianto, di incontaminata verginità, traendo da questa gran vanto.

A dirla tutta, però, il merito dell’illibatezza della costumista era attribuibile all’unico fidanzato di gioventù che, non trovandola attraente, aveva preferito non sacrificarsi nel mirabolante quanto miracoloso esercizio fisico di un amplesso.

 

Quando Ugo entrò nella bottega artigiana fu presentato a Clotilde dal proprio imbarazzo e dalla coda che automaticamente si era posizionata, come era già accaduto altre volte in questi casi, in orizzontale.

La modista, nel notare quello strano supplemento, non poté fare a meno di ridere e il viso incartapecorito s’illuminò di inusitata luce, gli occhi divennero ridenti.

Ugo spiegò quanto bizzarro fosse stato ciò che gli era accaduto ed avanzò la sua richiesta.

Intanto il suo spirito sensibile aveva colto nel riso e nell’espressione della modellista un tratto di femminilità. Egli sapeva cogliere in ogni donna, ancorché brutta, il lato attraente e peculiare del sesso opposto, che la spiccata emotività esaltava, trasfigurandolo.

La coda si alzò, scodinzolò ad altezza media ed ad alta velocità.

Ugo era eccitato ed euforico. Un imbarazzante rossore imporporò le guance pallide e un incontenibile fremito gli attraversò il corpo. L’uomo si era innamorato e il movimento dell’escrescenza caudale lo provava in modo inconfutabile.


Gianfranco Pasanisi

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