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E' la musica che certe anime hanno dentro, che invece di spartiti riempono pagine su pagine, parole che vengono giù come fonte dalla roccia, da un pertugio zampilla acqua fresca e pura.

La musicalità è forse una nostalgia che ha preso in affitto il monolocale sito in mezzo al traffico tra il diaframma ed il corso parallelo al cuore. Non si possono spiegare certe parole da dove provengano con quel suono dolce di rima baciata o verso libero, libero sì come il vento.

Vengono giù inarrestabili ragazzini in corsa dietro ad una palla, da recuperare in un campo battuto e scosceso, le loro bocche larghe in affanno e risate e le ginocchia sbucciate dalle innumerevoli cadute.

Gli occhi infiammati dalle lacrime trattenute per orgoglio, mai vinti, questi sono gli artisti, hanno figli sparsi per il mondo amati il lasso di tempo di giungere al punto finale della pagina dei ringraziamenti e allora ancora quella malinconia provata  per il tempo speso a forgiare, a vegliare nelle notti per incastrare un'immagine vincente per il colpo di scena finale.

Vengono giù le parole, quando non sono lacrime, quando le labbra non si chiudono in quella serenità attesa perchè tutto sembrava andare troppo di fretta sulle camicie bianche fresche di bucato.

Quando cade e si rompe la sintonia e quella spicciola filosofia non basta a consolare: entra in scena il silenzio.

Ma una voce sempre resta a cantar di quella vita innamorata della musica e della poesia

Daniela Sulas

“Ho scelto te tra tante ombre,

sotto un cielo insondabile

ho  ascoltato il tuo pianto e il tuo canto,

e ho dato voce al deserto infuocato

sull’isola che adesso, per te,  c’è”.

(M.T.)

Questa è una storia vera,  una delle tante che ho ascoltato dalla voce del diretto interessato. Non è una novità che “sull’isola che non c’è” (nel senso che purtroppo non tutti sono fortunati come il protagonista della mia storia ), sbarcano tanti immigrati che hanno viaggiato sfidando la morte per cambiare vita alla ricerca di un futuro migliore, tanti disperati che hanno camminato per oltre un mese nel deserto, chi non ce la fa, muore durante il viaggio. Una parte considerevole di essi cerca di restare in vita sfidando anche il mare dove, sulle “carrette”, verranno stivati come bestie tra la sporcizia e gli escrementi, conosceranno altra fame e altre violenze,  fino al sacrificio della vita per molti che non ce la fanno,  soltanto il mare piangerà la loro scomparsa.

Non tutti possono essere aiutati quando finalmente riusciranno a sbarcare, spesso, tra di loro,  si nascondono anche personaggi non desiderabili ma è così,  in tutto il mondo, c’è gente buona e gente cattiva. La storia che segue , mi ha colpita in modo particolare ,  ho deciso di scriverla così come mi è stata raccontata.  

 

 PRIMA PARTE

IL CANTO DEL DESERTO

Tutto si consuma in una manciata di ore, le colonne di fumo dei pozzi di petrolio in fiamme vengono  offerti in dono al dio della guerra, sotto lo sguardo indifferente dell’umanità distratta. Esseri umani impauriti e stanchi, affondano rassegnati i loro piedi sulla sabbia infuocata cercando di raggiungere una meta, un sogno al di là del mare , un sogno che ha un solo profumo, quello della libertà.

Zohra, compagna di Ahmed, carica di quelle poche cose che aveva potuto racimolare prima che intorno a loro si scatenasse l’inferno, con tanta tenerezza, stringe le mani dei suoi bambini, Shamir e Alì che cercano risposte interrogando con i loro occhioni neri la loro mamma, il silenzio che ne ricevono affonda le sue radici nella millenaria storia dei padri del deserto, la donna non ha voce.

Ahmed, nel paese dove abitava, possedeva una casetta e un piccolo appezzamento di terreno che coltivava. La modesta quantità d’acqua a cui si poteva attingere sull’unico pozzo esistente nella zona, non riusciva a soddisfare i bisogni di tutti i contadini, ma lui, con tanti sacrifici, riusciva a trasportare l’acqua, così riusciva anche a produrre degli ortaggi che poi vendeva al mercato, il modesto ricavato era appena sufficiente per la sopravvivenza della famiglia.

Nei giorni precedenti il massacro, all’interno della comunità dove Ahmed abitava, si era sparsa la voce che stavano per essere attaccati , lo scopo era quello di impadronirsi dei pozzi di petrolio che arricchiva le multinazionali e impoveriva sempre di più i nativi del luogo.

Una sera, poco dopo il tramonto , il povero villaggio fu raso al suolo;  venne intimato ai superstiti, sotto la minaccia delle armi, di lasciare le loro case e tutto ciò che all’interno di esse non era stato distrutto. 

Ahmed era riuscito, in mezzo a quell’inferno a mettere in salvo la sua famiglia, adesso si chiedeva, angosciato, cosa ne sarebbe stato del loro futuro. In quei momenti drammatici , guardando annichilito le macerie di quella che era stata la sua casa , raccolse soltanto poche cose e nascose bene quel poco  denaro che era riuscito a mettere da parte in tanti anni di sacrifici. Aveva tanto sentito parlare di un’isola oltre il mare, quell’isola gli era stata descritta come un paradiso terrestre, bastava soltanto arrivarci e lì avrebbe trovato subito una casa, un lavoro e sarebbe vissuto  nel benessere.

Non ci pensò su due volte, la sua decisione era definitiva, avrebbe raggiunto quell’isola a tutti i costi insieme alla sua famiglia, sapeva già a chi rivolgersi ma doveva prima attraversare il deserto e raggiungere un porto da dove sarebbe partita la nave della speranza.

Si ricordò di un personaggio  sconosciuto , gli si era avvicinato giorni prima, il quale, con aria di complicità, gli aveva confidato di essere venuto a conoscenza che una bella nave avrebbe lasciato il porto della Libia tra un mese, i proprietari di quella nave, dietro lauto compenso, accoglievano chiunque volesse partire per raggiungere la Sicilia, lì, gli assicurò, insieme alla moglie e ai figli avrebbe potuto trovare subito un lavoro e una casa accogliente.

Ahmed non perse tempo, immediatamente prese la decisione che quella era l’unica strada verso la salvezza. Doveva sbrigarsi, il deserto non era facile da attraversare soprattutto a piedi, così, radunata la sua famiglia e altre piccole cose che servivano per la loro sopravvivenza, si mise in cammino.

Il deserto!

Avvolto nel suo jallabia bianco Ahmed osservava con gli occhi tristi la sua famiglia in cammino nel deserto. Infiammato dal sole cocente, il vento,  riportava l’eco riarso delle bombe che cadevano come pioggia rovente sulla città.

Il deserto era duro da affrontare; la disperazione avvolse il cuore di Ahmed; voltando per un attimo lo sguardo indietro per dire addio  al posto dove  lui, i suoi figli e i suoi antenati erano nati, il dolore si fece ancora più forte, sentì scorrere sul suo viso,  involontarie e calde lacrime. Si inginocchiò e pregando il suo Dio di corrergli in soccorso per tutta la durata del viaggio, finalmente si mise in cammino...

        

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“ …Scrivo per guardarmi dentro.

Scrivo per fermare il tempo.

Scrivo per suscitare sentimenti

e per esprimere i miei.

Scrivo per dare un senso al silenzio…” (Dacia Maraini)

 

Quella mattina, svegliato dal caldo tepore del sole autunnale , il signor Silenzio, dopo diversi anni di solitudine , decise che era arrivato il momento di andare a vedere cosa succedeva oltre la sua montagna di roccia. Incamminandosi con passo incerto lungo il sentiero che conduceva a valle, arrivò in città.

Sbirciando curioso attraverso le persiane socchiuse, ascoltava le chiacchiere delle persone che stavano all’interno delle case. Notò che ciascun abitante usciva dalla propria casa salutando e, con larghi sorrisi, si avviava in tutta fretta. Il mondo circostante era un andirivieni di persone indaffarate e lui non riusciva a capire il perché di tutto quel correre.

Spaventato da quel frastuono e dal vociare della gente il signor Silenzio, affrettando il passo, entrò in un parco.  Gli alberi, accarezzati dal respiro del vento,  placarono la sua inquietudine;  lasciandosi  cullare da quell’orchestra della natura, maestra di vita, si sentì rigenerato.

Una panchina arrugginita lo accolse mentre le foglie ingiallite svolazzavano come tante farfalle colorate. Il suo sguardo fissava incredulo l’umanità che stava intorno a lui, era così pensieroso da non accorgersi che un uomo, vestito modestamente, si era seduto vicino a lui e lo ignorava.

Il signor Silenzio osservò con curiosità il nuovo arrivato, non profferì parola fino a quando non percepì che quell’uomo era molto  triste .  Preoccupato e intenerito  gli afferrò la mano e stringendola forte tra le sue decise di rivolgergli la parola: “Mi perdoni”, gli disse, “non voglio importunarla, posso esserle d’aiuto? Mi chiamo Silenzio, si fidi di me la prego, è da tanto tempo che  non rivolgo la parola a qualcuno ma, in questo momento, sento che lei ha bisogno di me”.

Il tono della sua stessa voce lo stupì, ne aveva perso il suono, non aveva parlato più con nessuno da tempo. Sentì, con profondo dolore, che era arrivato il momento temuto e atteso. Ascoltò il tono della sua voce e gli piacque parecchio. Adesso era fuori da quel tunnel costruito con tanto spreco di energie  proiettate soltanto  a difendere una corazza che nessuno riusciva a penetrare, nel vuoto emotivo più assoluto, aspettando il lento trascorrere del tempo .

La breccia che si aprì nell’ermetico connubio fatto di cecità ed egoismo, che lo avevano  portato a isolarsi dal mondo, a causa delle delusioni che lo avevano distrutto, gli fece provare una forte emozione e una gran pace lo invase.

La luce che vide trasparire dagli occhi dello sconosciuto che gli stava accanto, puntava dritta alla sorgente del suono, spalancando la claustrofobica finestra dove i sogni erano stati chiusi ermeticamente.

Un mondo caldo ed avvolgente si aprì,  spezzando le catene dell’indifferenza;  un bisogno irrefrenabile di vivere , oltre il limite che si era imposto, lo avvolse , l’energia negativa che fino a quel momento aveva fatto da padrona, suggerendo rimedi nefasti , si trasformò in un concentrato di forza inspiegabile che lo stava rigenerando.

Il Signor Silenzio alzò lo sguardo, il cielo non era stato mai così azzurro, ascoltò il suono melodioso del canto degli uccelli, vide una foglia cadere e notò che era verde, guardò, commosso, un bambino immerso nei suoi giochi e una mamma attenta ai suoi più piccoli movimenti.

Lo strano compagno della panchina continuava a fissarlo, i suoi occhi irradiavano una forza sconosciuta che penetrava nel più profondo del suo essere inondandolo di serenità e pace.

Silenzio sentì come se si stesse amalgamando alle fresche acque di un ruscello, fino a sentirsi parte dell’elemento stesso; era acqua, aria, radice, albero e foglia; respirava all’unisono con il mondo circostante.

Non era mai stato così vicino al desiderio di annullarsi completamente, voleva soltanto vivere quello stato di benessere che penetrava nella  fonte stessa della vita.

Così come era apparso, lo sconosciuto compagno di panchina scomparve all’improvviso dileguandosi nel nulla.

Un respiro profondo riportò il signor Silenzio alla realtà. Una farfalla, leggera, si posò sulla sua mano.

La montagna di roccia non l’avrebbe più visto passeggiare tra i suoi sentieri.

 

 

Dal WEB - "Lascia che ti racconti" di Jorge Bucay

L'elefante incatenato

Quando ero piccolo adoravo il circo, mi piacevano soprattutto gli animali. Ero attirato in particolar modo dall’elefante che, come scoprii più tardi, era l’animale preferito di tanti altri bambini. Durante lo spettacolo quel bestione faceva sfoggio di un peso, una dimensione e una forza davvero fuori dal comune… Ma dopo il suo numero, e fino a un momento prima di entrare in scena, l’elefante era sempre legato a un paletto conficcato nel suolo, con una catena che gli imprigionava una delle zampe.

Eppure il paletto era un minuscolo pezzo di legno piantato nel terreno soltanto per pochi centimetri. E anche se la catena era grossa e forte, mi pareva ovvio che un animale in grado di sradicare un albero potesse liberarsi facilmente di quel paletto e fuggire.

Era davvero un bel mistero.

Che cosa lo teneva legato, allora?

Perché non scappava?

Quando avevo cinque o sei anni nutrivo ancora fiducia nella saggezza dei grandi. Allora chiesi a un maestro, a un padre o a uno zio di risolvere il mistero dell’elefante. Qualcuno di loro mi spiegò che l’elefante non scappava perché era ammaestrato. Allora posi la domanda ovvia: «Se è ammaestrato, perché lo incatenano?».

Non ricordo di avere ricevuto alcuna risposta coerente. Con il passare del tempo dimenticai il mistero dell’elefante e del paletto, e ci pensavo soltanto quando mi imbattevo in altre persone che si erano poste la stessa domanda.

Per mia fortuna, qualche anno fa ho scoperto che qualcuno era stato abbastanza saggio da trovare la risposta giusta:

L’elefante del circo non scappa perché è stato legato a un paletto simile fin da quando era molto, molto piccolo.

Chiusi gli occhi e immaginai l’elefantino indifeso appena nato, legato al paletto. Sono sicuro che, in quel momento, l’elefantino provò a spingere, a tirare e sudava nel tentativo di liberarsi. Ma nonostante gli sforzi non ci riusciva perché quel paletto era troppo saldo per lui.

Lo vedevo addormentarsi sfinito, e il giorno dopo provarci di nuovo, e così il giorno dopo e quello dopo ancora…

Finché un giorno, un giorno terribile per la sua storia, l’animale accettò l’impotenza rassegnandosi al proprio destino. L’elefante enorme e possente che vediamo al circo non scappa perché, poveretto, crede di non poterlo fare.

Reca impresso il ricordo dell’impotenza sperimentata subito dopo la nascita.

E il brutto è che non è mai più ritornato seriamente su quel ricordo.

E non ha mai più messo alla prova la sua forza, mai più…

A volte viviamo anche noi come l’elefante pensando che non possiamo fare un sacco di cose semplicemente perché una volta, un po’ di tempo fa ci avevamo provato ed avevamo fallito, ed allora sulla pelle abbiamo inciso “non posso, non posso e non potrò mai”.

Se vuoi, puoi!

 

Salve! Vi piacciono le favole?

Mi è stato detto che qui si può scrivere ciò che si vuole, l’importante è non offendere nessuno. Nei vostri ricordi sicuramente ci sono tante favole, e tutte finivano …”vissero felici e contenti”. Ma vi siete mai chiesti cosa è successo dopo?

Mi sono permessa di sconvolgerne una, spero di non offendere la sensibilità di qualcuno, nel caso questo dovesse succedere, c’è sempre la  possibilità di cancellare.

                                                     BIANCANEVE E I SETTE NANI

Quel bacio si era rivelato un vero miracolo! Al suo risveglio, Biancaneve, si ritrovò tra le braccia di un  principe, bello come il sole e ricchissimo. Il principe viveva in un favoloso castello, e fu lì che condusse la sua amata, facendole mille promesse di futura felicità.

Biancaneve, guardandosi attorno , notò tutto quello sfarzo e i tantissimi camerieri  e maggiordomi che, inchinandosi, pendevano dalle sue labbra, pronti a soddisfare ogni suo desiderio.

“Ma vuoi vedere”, pensò, “che finalmente la mia vita cambierà?”

“Matri, cchi sugnu cuntenta, a facciazza da me matrìa ca si senti a cchiù bedda do munnu! CCà, finarmenti puozzu fari a signura  ppiddaveru . Ppi prima cosa m’accattu ‘nsaccu di robbi novi e mi lievu di ‘ncouddu sti pagghiazzi, duoppu mi fazzu arrialari ‘munsieddu di gioielli, e poi mi fazzu purtari tutti i siri a ballari. Chista sì ca è vita! Ma speriamu ca nuddu si menti ‘nta testa , compresu mo maritu , ca m’ana cumannari di santa raggiuni pircchì a ragiuni ju a pierdu  ‘nta secunnu, m’abbastaru a mo finta matri e i me du’ surastri! Si ppoi viru a mala ‘mbagghiata vor diri ca  mi nni tuornu di unni vinni ”. (1)

La principessa era così contenta che volle strafare! Telefonò alla sua amica Cenerentola  , pregandola di  partecipare, insieme al suo principe, ad una sfarzosissima festa in maschera nel suo castello. Quella volta si fece anche prestare le sue scarpette, non scarpe qualsiasi, ma quelle di vetro (a Biancaneve erano sempre piaciute tantissimo quelle scarpe uniche al mondo), già sapeva che non  le avrebbe mai restituite perché, sbadata com’era, Cenerentola ne perdeva continuamente una, che poi, per fortuna, veniva ritrovata da un servo.

Continuando ad inseguire i suoi sogni  e riflettendo sulla sua precedente vita , soprattutto quella legata al periodo di convivenza con i sette nani, si rese conto che non era poi stata una gran vita. Tutti i giorni si doveva occupare di loro; cucinare e pulire per  i nani era stata una faticaccia enorme , e , tirchi com’erano, non le avevano mai regalato un diamante.

Sì, la sua vita futura, sarebbe stata sicuramente meravigliosa.

Passano gli anni e, tra alti e bassi, il principe e la principessa (che non si era voluta sposare ma aveva optato per la convivenza), avevano messo al mondo sei pargoletti.

Ma neanche i principati, purtroppo, sono esenti dall’inflazione galoppante, l’aumento dei prezzi era salito alle stelle, così, da un giorno all’altro, il principe diede l’ordine di stringere la cinghia, niente più vestiti, niente serate di gala , niente più gioielli e, a tal proposito, comunicò alla principessa che, per forza di cose, alcuni dei suoi gioielli importanti dovevano essere venduti.  L’entusiasmo di Biancaneve cominciava a scemare, quella nidiata di bambini la faceva impazzire, doveva sempre stare dietro a loro che si ricorrevano dappertutto, non solo, da quel momento in poi, sempre dietro ordine del principe, doveva fare a meno anche della baby sitter .

Trascorso ancora qualche anno ecco che le cose iniziarono a mettersi proprio male.

“Stringere la cinghia” era diventato  il “pane quotidiano”; non tutte le stanze del castello potevano essere occupate , quelle utilizzabili si erano ridotte a tre a pianoterra dove vivevano,  in precedenza,  alcuni domestici che erano stati licenziati; un bagno soltanto per tutti e niente luce elettrica (la corrente elettrica aveva raggiunto costi esorbitanti) , soltanto candele!

Il povero principe non sapeva più dove sbattere la testa per risolvere i problemi quotidiani. A causa di un pazzo furioso di uno Stato vicino al suo regno, era scoppiata la guerra, così i prezzi di gas, luce, affitti e derrate alimentari, erano schizzati alle stelle. I sudditi, che fino ad allora avevano pagato le tasse puntualmente, colpiti anche loro dal dramma austerity, non versavano più il dovuto alla casa regnante; a questo punto al  Principe, non restò altro da fare che vendere tutti i suoi beni, compresi i gioielli della regina madre (ancora viva e senza pensione), e le scarpette di vetro di Biancaneve.

Da quel momento il Principe si alzava prestissimo e, zappa in spalla, andava nei campi e piantava tutto ciò che era possibile per il sostentamento della sua famiglia composta da nove persone.

Biancaneve non ne poteva più soprattutto dopo l’arrivo dei sette nani che, ormai ridotti in povertà assoluta ( la miniera si era esaurita e i diamanti accumulati non li voleva comprare nessuno), pensarono bene di farsi ospitare al castello.

Così, un bel giorno, l’ex principessa, alle primi luci dell’alba pensò bene di scappare nel bosco e di non fare più ritorno . Voleva stare il più lontano possibile da quel castello e da quella famiglia scalcagnata!

Cammina cammina, sperando di ricordarsi la strada e guardandosi a destra e a manca, non intravide quello che stava cercando e cioè la casa di marzapane di Hansel e Gretel; soltanto così avrebbe soddisfatto il suo bisogno di cibo. Non trovando niente attorno a sé giunse alla conclusione che i due fratelli, della casetta di marzapane , non avevano lasciato neanche una briciola.

Biancaneve si era quasi arresa, quando, in lontananza, intravide cappuccetto rosso, si mise a correre per raggiungerla sperando che la bimba, nella sua saccoccia, avesse ancora qualche focaccia destinata alla nonna . Cappuccetto rosso, non senza una smorfia,  svuotò le sue tasche che erano completamente vuote, si era mangiato tutto lei.

“E la nonna?” chiese Biancaneve.

“La nonna è stata mangiata dal lupo, la sua casetta adesso è vuota e io ho chiuso a chiave e torno dalla mia mamma” rispose cappuccetto rosso.

Dopo quella notizia  Biancaneve quasi esultò.

Bene, disse tra sé e sé, la casa della nonna ha trovato una nuova inquilina!

Con tutto il fiato che aveva in corpo si mise a correre ( sperando che qualche famiglia di extracomunitari venuta da paesi lontani non l’avesse già occupata), e  ben presto raggiunse la casa, sfondò la porta e si insediò lì dentro. Si sentiva felice, niente schiamazzi, niente suocera, niente figli né principe, né tantomeno nani !

La casa, così come la nonna l’aveva lasciata, era pulitissima e ricca di mobili antichi con  una camera da letto meravigliosa che non doveva dividere con nessuno, un bel bagno tutto per lei, un camino grande e tanta legna accatastata.  

Sì, Biancaneve aveva trovato tutto quello che cercava, da quel momento in poi  si sarebbe goduta il silenzio del bosco, il cinguettio degli uccelli e le notti stellate. E il cibo? Biancaneve era una brava cacciatrice e con la lupara che aveva trovato in quella casa , sicuramente,  si sarebbe procurata tanta cacciagione che nel bosco non mancava, da arrostire nel camino.

Così, finalmente, visse felice e contenta!  

  • (1) “Mammamia sono contentissima, alla faccia della mia matrigna che si crede la più bella del mondo! Qui, finalmente posso fare la signora veramente. Per prima cosa mi compro un sacco di vestiti nuovi e mi levo di dosso questi strofinacci vecchi, poi mi faccio regalare dal mio principe tantissimi gioielli e poi pretenderò di essere portata tutte le sere a ballare. Questa sì che è vita! Speriamo che nessuno si metta in testa , compreso mio marito, che devono comandarmi di santa ragione perché io , la santa ragione la perdo in un secondo, mi sono bastati gli ordini che continuamente mi venivano impartiti a casa dalla mia finta madre e dalle due sorellastre. Se poi mi accorgo che niente funziona come io desidero  , prenderò la decisione di tornarmene nel posto dov’ero prima”   

 

Si erano svolte da poco le elezioni politiche, come sempre osservavo la nostra scena politica senza capire molto di quel che accadeva. Ho sempre compreso poco di politica ma negli ultimi anni, con il cambiamento di nomi, simboli e coalizioni, capivo ancora meno.
Quella serata di opprimente calura autunnale, mi rendeva nervosa, depressa, incerta su ciò che sentivo e vedevo intorno a me ma con nuovi occhi; frasi da una parte, parole da un’altra, che unite insieme alimentavano i miei dubbi.
Mi sembrava di mettere insieme frammenti di un grande puzzle e man mano che trovavo l’incastro giusto, si andava delineando un’immagine sgradevole. Possibile che non mi fossi mai resa conto di nulla? Dove ero vissuta tutto quel tempo? Chiusa al riparo dentro casa avevo perso di vista la realtà del mondo circostante.
Ora che mi si era aperto un nuovo orizzonte, notavo atteggiamenti e compromessi che non avevo mai visto e tutto questo mi sbalordiva e nauseava. Cercai di mettere in ordine le idee trascrivendole su di un foglio, ma più scrivevo e più mi confondevo o forse più semplicemente non volevo ammettere che molte delle mie convinzioni stavano crollando come un castello di sabbia!
Me ne andai a letto pensando a chi potessi chiedere consiglio per chiarire i miei dubbi ma non mi venne in mente nessuno di cui potermi fidare e che potesse offrirmi un consiglio disinteressato senza schierarsi da nessuna parte, l’unico che avrebbe potuto farlo era mio padre, che pur avendo un suo credo politico era sempre stato molto obiettivo e soprattutto non aveva mai condizionato le mie idee, ma lui non c’era più ed era troppo tardi ormai per porgli qualunque quesito.
Impiegai tempo prima di addormentarmi, il caldo non dava tregua, il ventilatore sembrava muovere solo vapore acqueo, finché sfinita mi lasciai prendere dal sonno.
Fui svegliata nel cuore della notte da una voce che non sentivo più da molto tempo, mi sedetti di colpo sul letto.
“Ciao piccola principessa, che succede? Ho saputo che me cercavi.”
-Papà…papà…ma che ce fai qua?-
“M’hanno detto che me volevi parlà e così sò sceso giù. Com’è ‘sta crisi nera da cercamme così disperatamente? Dimme che te rode drénto.”
-Papà, come sò contenta de vedette! Ciavevo proprio bisogno de parlatte-
Avrei voluto abbracciarlo ma guardandomi severamente disse:
“Piccola nun lo fà, ce lo sai che questo è solo ‘n sogno perciò nun fà gesti che te farebbero solo cascà dar letto!”
Sorrise e spezzò così qualunque mia illusione
“Allora che me vòi chiede?”
-Papà, sto ‘n crisi e piena de dubbi. Nun riconosco più ‘sto posto che m’ha visto cresce, me pare tutto ‘n monno strano.-
“Bè fija mia, li tempi cambieno, gnente rimane fermo, anche la borgata è cambiata e questo fà parte der progresso, mica se poteva rimanè a li tempi de quann’eri piccola!”
-Questo lo so, è tutto cambiato, niente più bandiere o colori, niente più valori, quelli che m’hai inzegnato, quer rispetto che dovemo portà sempre anche a chi nun la penza come noi!-
“E’ vero, er rispetto è tutto! E’ la base del vivere civile, si può discutere per idee diverse, ma rispettarle sempre.”
Mi guardò per un attimo con un leggero sorriso e proseguii
-A scuola ho studiato che l’Italia è una libera Repubblica fondata sul lavoro e tutti hanno libertà di parola e di pensiero.-
“Ehhh…De sicuro quanno scrivettero ‘sta frase l’intenzioni ereno bòne, ma poi, quanno che l’omo sta ar potere le regole se le cambia sempre ammodo suo. Da quanno nun ce sto più, nun so quanti governi sò cambiati, ma la situazzione è sempre uguale.
Chi cià lavoro oggi? Quanti imprenditori s’ammazzeno perché deveno pagà troppe tasse?
Le mejo industrie l’hanno vennute a li stranieri, qui è rimasta solo la speranza de trovà ogni tanto un contratto pe’ quarche mese.
A libbertà è ‘n’illusione e l’ho capito solo doppo morto ch’ero finarmente libbero davero!
La libbertà de parola ce l’hai finchè nun dai fastidio a chi comanna; poi parlà male de l’avverzario ma no de lui.. allora sì che ciai libbera parola!
Te rimane libbertà de penziero perché quello nisuno lo vede e lo sente finchè lo tenghi pe’ te!”
-Bè insomma è successo qualcosa del genere… il pensiero mio è diventato parola scritta e a qualcuno non è piaciuto tanto!-
Per un momento si rabbuiò e rividi i suoi occhi gelidi come il ghiaccio.
“T’ho lassata madre de famija, facevi l’uncinetto e leggevi tanto, scrivevi è vero, ma nisuno ha mai letto li penzieri tuii, com’è che mò quarcuno li conosce? Me sò perzo quarcosa da quanno nun ce stò?”
-E’ successo che ero stanca di fare sempre le stesse cose tutti i santi giorni del calendario, senza mai una cosa nuova; così ho iniziato a far leggere i miei scritti.-
“Madonna santa, ce lo sapevo io che ‘sta mania de scrive prima o poi t’avrebbe messo in mezzo a li casini! Nun me dì che te sei messa a parlà puro de politica!”
-No papà, non l’ho fatto, la politica non la capisco e ne sono sempre voluta rimanere fuori. Ho scritto solo i miei pensieri, le mie emozioni, che qualcuno poi ha chiamato poesie.-
“Allora non capisco tutto ‘sto bisogno de famme venì qua…Si hai scritto poesie e senza parlà de politica nun poi avè fatto danni, avrai parlato d’amore, luna, mare, sole e stelle! Inzomma le solite noie!”
-Veramente…non è solo questo.
Sai che da piccola m’è sempre piaciuto scrivere sul giornalino di scuola, così ho iniziato a fare la reporter di quartiere per un giornale locale, senza mai sfiorare politica, cosette da poco, solo quel che vedevo intorno a me; non ho alterato nulla, giuro, solo la verità che stava da sempre, davanti agli occhi di tutti!-
“Allora ‘sta cosa è assai più grave de quer che me credevo e capisco perché m’hanno fatto scenne giù de corza. Penzavo che armeno doppo morto potevo stà tranquillo, ormai eri ‘na donna, nun hai mai combinato guai; sempre discreta, educata e rispettosa.
A l’improviso nun fai più la casalinga, ma scrivi sur giornale, de che poi? De quer che tutti ponno vedè ma fà commodo de nun vedè.
Hai fatto come li regazzini, co’ la stessa innocenza loro, sincera e schietta, perché l’animo tuo è pulito e senza cercà gloria hai mostrato verità che scotteno.
Li politici, de quarziasi colore, (ammesso che ancora ne hanno uno) cianno l’occhi foderati de presciutto quanno je fà commodo nun vedè, e, scrive quer che scrivi te, è peggio de fà politica fija mia!”
-E ora secondo te, cosa devo fare?-
“Mhhhh… difficile trovà ‘na soluzzione!”
Per la prima volta vidi mio padre in dubbio sulla risposta da darmi, segno che il problema lo impensieriva molto, non erano quindi esagerati i miei dubbi in proposito.
“Ditte de smette e tornà a fà la casalinga sarebbe chiedete troppo? Eh sì…te lo vedo drénto a l’occhi. Nun t’è mai piaciuto aritornà indietro se la strada che volevi fà te stava davanti!”
-Chissà di chi ho preso? –
Rispose ridendo.
“De tù madre sicuro! Lei era così, dorce ma decisa e nun se faceva passà ‘na mosca sotto ar naso! Ve sete sempre somijate tanto e mò che sei ‘na donna adurta, puro er viso tuo è uguale ar suo!”
-Però con te ci capivamo al volo senza usare tante parole. Me li ricordo sempre gli occhi tuoi che mi parlavano da soli.-
“Nun aritornamo a quei tempi annati, cercamo ‘na soluzzione a ‘sto probbrema, tra ‘n pò diventerà giorno, finirà er sogno tuo e sparirò pur’io. Allora vedemo ‘n po’!
Tornà indietro hai detto de no! Cercà ‘n compromesso senza dà fastidio a nisuno?
Magara ‘na mezza verità, ch’è sempre mejo de ‘na mezza bucia?”
-Papà, m’hai insegnato che dovevo difendere sempre i miei principii se li ritenevo giusti e non li posso tradire adesso.-
“Vedo che ciai bbona memoria, le parole mie nun sò finite ar vento e mò nun posso rinnegà l’inzegnamenti mii.”
Sorrise dolcemente e proseguì
“Penza però a tutti quelli che cianno provato prima de te a quante cose sò annati ‘ncontro.
Te dovrai scontrà co’ tanti, certe verità fanno male puro a chi credevi te fusse amico e quello che penzavi nemico te farà li comprimenti perché sarà sicuro che difenni lui e ‘sta cosa passerà pe ‘na questione politica.
Ecco in mezzo a che casino te sei ‘nfilata.”
Non era irritato, forse solo preoccupato
“Drénto ar sangue tuo ce score ‘na grossa eredità che prima o poi doveva sartà fòra, quella de denuncià sempre la verità. Nun t’avrei fermato manco se fussi stato ancora ‘n vita e nun te posso protegge adesso.”
-Allora che devo fare?-
“Ascorta ‘a voce de la coscenza e nun te pentì mai de le scerte tue.
Sarà ‘na lotta dura, arcune vorte piagnerai e vorai tornà ‘ndietro perché te verà er dubbio che er gioco nun vale la cannela, ma poi staresti male rinchiusa drénto ar guscio tuo, ce soffriresti e nun te daresti pace.
Quarcuno t’arzerà a l’artare de la gloria solo pe’ fà dispetto a l’avverzario e te salirà nausea de tanto onore.
Quanno allora t’ariveranno li dubbi, fermete ‘n momento, rispira a fonno, leggete drentro ar còre e de sicuro ce troverai risposta.
Quanno avrai deciso si fermatte o annà avanti pe’ quella strada, fà che sia pe’ scerta tua e no pe’ ‘mposizzione, compromesso co’ quarcuno, o peggio ancora pe’ guadagnà sòrdi, allora sì che tradiresti me e li principii tuii.
Piagni, strilla e urla se sentirai de fallo ma lotta sempre si ce credi a fonno e potrai stà sempre a testa arta davanti a tutti.”
-Papà ma non m’hai dato una risposta, questo non è né sì né no!-
“La risposta la devi cercà drénto de te fija mia, io t’ho inzegnato quer che potevo; sei forte, ciai carattere, sei genuina, sò che farai a scerta giusta.
Mò solo ‘na cosa posso fà pe’ te: lassatte l’urtima benedizzione mia, quella che nun ho fatto in tempo a datte allora e sò sicuro che quarziasi cosa scejerai, sarà de certo quella giusta!”
-Papà… aspetta, non andare ancora via, non mi lasciare un’altra volta sola!-
“Principessa lo sai che questo è solo ‘n sogno, è ora che te svej, m’hanno già dato ‘sto privileggio de venì a parlà co’ te, nun chiede quer che nun se pò avè.
Mò devi camminà co’ le gambe tue, avemo solo finito ‘n discorzo lassato ‘n sospeso tempo fà e nun ciò gnent’antro da inzegnatte.”
Abbassai la testa, triste al pensiero del nuovo distacco, avrei voluto stringergli la mano, ma sapevo che non l’avrei sentito e allora feci l’ultima domanda:
-E mamma?-
“Sta bene e nun cià pene. Mò devo proprio annà, ma finarmente te posso dì quer che nun t’ho mai detto: sò proprio orgojoso d’avè ‘na fija come te.. Addio principessa!”
L’ultima immagine che vidi di lui, mentre svaniva il sogno, fu il suo occhiolino malizioso e sentii un leggero alito di vento fresco sfiorarmi dolcemente il viso come una carezza.
Il sole era ormai alto, la sua luce mi accecò gli occhi, ero sveglia e sola nel mio grande letto.
Mi soffermai per un po’ a pensare; un lungo respiro salì dal petto… E feci la mia scelta.
Salgo le scale silenziose, un gradino dopo l'altro il buio mi accoglie, mi avvolge.
Dove un tempo risuonava il sordo ronzare dei computer, ora il silenzio regna indisturbato.
Dove l'ombra capitolava dall'alba al tramonto ora capitola ogni luce.
Dove il chiacchiericcio al telefono e tra voi ragazzi cadenzava il mio muto andare per casa ora è l'assenza, presenza inquietante.
Parlo da sola.
Ascolto e l'attesa si fa pietra.
Frecce del mio arco scoccate nel futuro, andate!
Portate lontano ciò che ho affidato al tempo e allo spazio.
Sarete semi germogliati e fruttiferi dentro il solco della vita che ad ogni stagione rinnoverà d'Amore.
Non siete più "fiori della mia pianta" sarete rami nodosi e piegheranno verso terra sotto il peso dell'Amore.
Non siete più soli...
Non siete mai stati soli, io vi ho seguito, osservato, in silenzio ho spiato le vostre tracce, ho ascoltato, ho sbagliato, ho ammirato, trepidato, tremato, disperato e molto altro ancora...
D'Amore...
 
A distanza di anni nuova vita torna a colmare i vuoti
 
Ora, per un po’, fenditure e solchi graffiano il silenzio, l‘ombra e la solitudine.
È tornata parte della vita il cui germoglio sta premendo per manifestarsi fuori dal suo involucro tondo, frutto dell’Amore.
Io, fragile scorza del seme che fu e spettatore attonito, resto in attento ascolto.
Frantumerai l’involucro come miriadi han fatto prima di te, ti proporrai al mondo con tutta la tua fragilità e la tua caparbia pretesa di vita!
Entrerai di prepotenza nel vissuto quotidiano e sarà l’unica prepotenza che, come molti prima di noi, accoglieremo con strepitosa esultanza!
 
Serpeggiano aromi d'estate
come fluenti brezze intorno
mentre s'accostano timide
le prime fragranze autunnali.
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