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Scritto da Gianfranco Pasanisi. Pubblicato in Prosa il 21 Ott 2016.
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Racconto per la caratterizzazione del protagonista: donna mascolina

Con le terga denudate rivolte all’insù, disteso sulla lettiga, nell’ampia sala post – operatoria attendevo, col morale a pezzi, che qualcuno provvedesse alla disinfezione della fistola operatami tre giorni prima.

Un sanitario, un po’ meno distratto degli altri, nel concedermi benevola e preziosa attenzione, mi aveva detto: << Si prepari, verrà a medicarla Suor Maria degli Angeli>>.

Ed ora ero là, nella sconveniente e imbarazzante posizione, esposto alla sguardo malizioso di indaffarate e ridanciane infermiere che avevano scambiato quell’ambiente per movida.

Nel sentir pronunciare il paradisiaco nome di Suor Maria degli Angeli un po’ mi rasserenai poiché, in altra simile circostanza, mi ero già affidato alle amorevoli cure di altra suora dell’Ordine delle Sorelle della Carità ed ero stato assistito con delicatezza e alta professionalità infermieristica.

Sperai, pertanto, di ricevere lo stesso trattamento riservatomi da quella pia donna.

Aspettando che la codardìa cedesse il passo   ad un’ottimistica, seppur timida, fiducia vidi avanzare, simile ad un carro armato, un donnone dall’ampio indumento monacale e dalla corporatura massiccia.

Le maniche dell’abito, tirate all’altezza del gomito, come usano fare le lavandaie, mostravano avambracci robusti da scaricatore di porto, pelosi più degli arti di un lemuride del Madagascar.

La balena, nel suo procedere deciso, faceva ondeggiare, col sederone a damigiana, la sottana da sinistra a destra e la cuffia alata inamidata volteggiava nell’aria somigliando più che a un gabbiano in volo a uno Stukas in fase di decollo.

Giunta che fu vicino alla barella, considerai che quella donna non avesse nulla di Eva mentre di Adamo aveva anche il pomo, che ora si spostava su e giù sotto il collarino apprettato.

Non ebbi il tempo di dissipare la   preoccupazione che avevo provato alla sua vista che ella, con mossa repentina, aveva già strappato con violenza il cerotto e la garza sterile.

Ebbi un sobbalzo.

<< Stia fermo>> Mi intimò con un ruggito cavernoso. E così dicendo prese, tra le chele di una pinza chirurgica, del cotone idrofilo e impregnatolo di disinfettante lo inabissò nel cratere della piaga, girandolo e rigirandolo come se trivellasse con una sonda petrolifera.

<< Suor Maria degli Angeli, mi fa vedere le stelle, i Cherubini, i Serafini del cielo >> imprecai intimorito, tramutando un linguaggio scurrile in un’espressione più confacente all’indirizzo di una religiosa.

<< Non faccia storie, si comporti da uomo >> mi ingiunse soffiandomi addosso il suo fetido respiro, rendendomi, così, dolente non solo nel corpo ma anche nell’orgoglio.

E quando si avvicinò all’altezza del mio naso, percepii inoltre un odore acre, inconfondibile: era l’esalazione della sua incontinenza.

Pensai:<< Costei non usa Tena, il divora odori… e dovrebbe fare, a mio avviso, un PSA…. Avrà certamente problemi di prostata…Tra uomini queste cose si comprendono>>.

E mentre così divagavo, lei imperterrita portò a compimento la sua missione di sollievo della sofferenza.

Dopo aver offeso la mia carne viva ed il mio spirito, come se non bastasse, terminata la medicazione, mi diede una solenne pacca di commiato su un gluteo, non quello incolume e intonso ma quello martoriato dalle sue mani sante.

Trattenni a fatica, ma dignitosamente, un grido di dolore e tra me e me lanciai all’ indirizzo di quella stravagante monaca un impropero:

<< Suor Maria degli Angeli e degli Arcangeli, che Belfagor, Satan, Aleppe e tutti i diavoli dell’inferno ti conducano tra le fiamme eterne e, come scrisse il Sommo Poeta, Barbariccia faccia anche” del cul trombetta” >>

Quel che avevo pensato di dirle non era granché, ma almeno avevo dato sfogo al mio disappunto. Se avessi potuto… L’avrei ammazzata.

 

 

 Racconto per la caratterizzazione del protagonista: donna mascolina

Con le terga denudate rivolte all’insù, disteso sulla lettiga, nell’ampia sala post – operatoria attendevo, col morale a pezzi, che qualcuno provvedesse alla disinfezione della fistola operatami tre giorni prima.

Un sanitario, un po’ meno distratto degli altri, nel concedermi benevola e preziosa attenzione, mi aveva detto: << Si prepari, verrà a medicarla Suor Maria degli Angeli>>.

Ed ora ero là, nella sconveniente e imbarazzante posizione, esposto alla sguardo malizioso di indaffarate e ridanciane infermiere che avevano scambiato quell’ambiente per movida.

Nel sentir pronunciare il paradisiaco nome di Suor Maria degli Angeli un po’ mi rasserenai poiché, in altra simile circostanza, mi ero già affidato alle amorevoli cure di altra suora dell’Ordine delle Sorelle della Carità ed ero stato assistito con delicatezza e alta professionalità infermieristica.

Sperai, pertanto, di ricevere lo stesso trattamento riservatomi da quella pia donna.

Aspettando che la codardìa cedesse il passo   ad un’ottimistica, seppur timida, fiducia vidi avanzare, simile ad un carro armato, un donnone dall’ampio indumento monacale e dalla corporatura massiccia.

Le maniche dell’abito, tirate all’altezza del gomito, come usano fare le lavandaie, mostravano avambracci robusti da scaricatore di porto, pelosi più degli arti di un lemuride del Madagascar.

La balena, nel suo procedere deciso, faceva ondeggiare, col sederone a damigiana, la sottana da sinistra a destra e la cuffia alata inamidata volteggiava nell’aria somigliando più che a un gabbiano in volo a uno Stukas in fase di decollo.

Giunta che fu vicino alla barella, considerai che quella donna non avesse nulla di Eva mentre di Adamo aveva anche il pomo, che ora si spostava su e giù sotto il collarino apprettato.

Non ebbi il tempo di dissipare la   preoccupazione che avevo provato alla sua vista che ella, con mossa repentina, aveva già strappato con violenza il cerotto e la garza sterile.

Ebbi un sobbalzo.

<< Stia fermo>> Mi intimò con un ruggito cavernoso. E così dicendo prese, tra le chele di una pinza chirurgica, del cotone idrofilo e impregnatolo di disinfettante lo inabissò nel cratere della piaga, girandolo e rigirandolo come se trivellasse con una sonda petrolifera.

<< Suor Maria degli Angeli, mi fa vedere le stelle, i Cherubini, i Serafini del cielo >> imprecai intimorito, tramutando un linguaggio scurrile in un’espressione più confacente all’indirizzo di una religiosa.

<< Non faccia storie, si comporti da uomo >> mi ingiunse soffiandomi addosso il suo fetido respiro, rendendomi, così, dolente non solo nel corpo ma anche nell’orgoglio.

E quando si avvicinò all’altezza del mio naso, percepii inoltre un odore acre, inconfondibile: era l’esalazione della sua incontinenza.

Pensai:<< Costei non usa Tena, il divora odori… e dovrebbe fare, a mio avviso, un PSA…. Avrà certamente problemi di prostata…Tra uomini queste cose si comprendono>>.

E mentre così divagavo, lei imperterrita portò a compimento la sua missione di sollievo della sofferenza.

Dopo aver offeso la mia carne viva ed il mio spirito, come se non bastasse, terminata la medicazione, mi diede una solenne pacca di commiato su un gluteo, non quello incolume e intonso ma quello martoriato dalle sue mani sante.

Trattenni a fatica, ma dignitosamente, un grido di dolore e tra me e me lanciai all’ indirizzo di quella stravagante monaca un impropero:

<< Suor Maria degli Angeli e degli Arcangeli, che Belfagor, Satan, Aleppe e tutti i diavoli dell’inferno ti conducano tra le fiamme eterne e, come scrisse il Sommo Poeta, Barbariccia faccia anche” del cul trombetta” >>

Quel che avevo pensato di dirle non era granché, ma almeno avevo dato sfogo al mio disappunto. Se avessi potuto… L’avrei ammazzata.

 

 

 

 

 


Gianfranco Pasanisi

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